a La quarta glaciazione (Campanotto, Udine 2012) di Giancarlo Micheli
pubblicata in La stanza delle poche righe (ottobre 2013)
Della
raccolta La quarta glaciazione è
evidente fin dalla prima lettura l’ampio arco temporale e di esperienza lungo il quale i testi sono stati scelti,
cosicché ne riesce una densa sintesi della cultura dell’autore, fondata in un
forte imprinting filosofico che si
sostanzia in vigorosa critica dell’eresia ed in una circostanziata disanima di
tematiche religiose. In merito a ciò che altri hanno affermato, individuando
nella poesia di Micheli i caratteri peculiari allo sperimentalismo, mi sento in
disaccordo, soprattutto a motivo delle scelte linguistiche disseminate lungo
tutto il libro, contraddistinte da una profondità di struttura che esula, a mio
modo di vedere, dai canoni e dagli stilemi della poesia sperimentale, quale
potrebbe essere, per intenderci, quella di un Marco Giovenale o di un Alberto
Mori. I versi de La quarta glaciazione
sono scritti con ponderatezza e riflessività che li designano ad altre
appartenenze. Richiamandoci ad un’immagine bretoniana, giacché è palese e
talora esplicita la relazione di affinità elettiva con l’avanguardia storica
surrealista, nell’abbondante e fecondo corpo di ritmiche e sonorità sedimentate
nel volume si avverte uno sviluppo della poièsis in direzione dell’affinamento
del mormorio inconscio, il quale è dapprima ascoltato e, man mano che si
prosegue verso liriche più recenti, con accresciuta consapevolezza provocato.
Quella di Micheli è una poesia fondamentalmente antropocentrica, svolta su di una
linea di ricerca di cui io auspicherei la riscoperta; un indirizzo, quello che
pone al centro l’uomo contro e a dispetto di ogni vincolo confessionale, che si
ritrova anche nella produzione narrativa dell’Autore. Questo tipo di
letteratura è quello che non ha ancora rinunciato alla lotta contro il degrado
culturale e antropologico procurato dalla divisione del lavoro intellettuale
all’interno della civiltà capitalistica, la quale ha condotto il popolo degli
scriventi fino alla paradossale condizione di spettri, soggiacenti alla
sparizione blanchotiana del soggetto per cui l’io si stempera interamente nel testo, rendendoli virtualmente e
materialmente incapaci di dialogo con l’altro tramite le loro pagine, dalle
quali il tu è evaporato e dissolto. A
testimonianza di quanto in breve esposto, ci piace dunque riportare la lirica
conclusiva della raccolta: “Nella chiarezza inconcepita di un’estate/ Estesa
oltre il sogno del tempo/ Tu sei il ciclo del sole e le fasi della luna/ L’erba
che cresce al suono del pensiero/ L’armonia delle labbra e del silenzio/ La
mano che muta in vino le prime acque”.
Alessandro
Assiri
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