recensione di Neil Novello
a Elegia provinciale (Fratini, Firenze 2013) di Giancarlo Micheli
pubblicata in Leggere:tutti (n.91,
novembre 2014)
Il dato che con maggiore prepotenza emerge dalla prima lettura di Elegia provinciale di Giancarlo Micheli (Baroni,
2007, ora Fratini 2013) è la paroleria culta:
la koinè del narratore. La lingua alta rifluente in uno stile alto è tutta la materia prima di un Kunstwollen in cui lo scrittore si fa,
perché lo è, artifex. A una seconda
lettura, la lingua del narratore rivela però una profondità inattesa. Non è infatti
una lingua cortocircuitante né il narratore è prigioniero di un immedicabile
narcisismo. Questo narratore dittatoriale è “illuminato” perché componendo la
scena linguistica fa di sé un medium per
inventare la lingua del personaggio.
Non una sola lingua, quindi.
Molteplici le lingue di Elegia
provinciale. Anzitutto, il discorso libero indiretto, l’oratio obliqua attraverso cui già si distingue
un narratore secondo. A differenza del primo, l’estensore del nudo récit, il secondo entra, forte in
coscienza sociologica e invidiabile in vocazione antropologica, nel pensiero del personaggio. Tra il récit oggettivo e la semi–oggettività (o
semi–soggettività) del discorso libero indiretto (sempre in stile sublimis), Micheli gravita in un rango
linguistico italiano. Suo allora un duplice lavoro, aggregare la libera lingua
della narrazione alla lingua pensata
del personaggio: è il superlinguismo
del narratore.
Ma c’è tanto di più nell’Elegia,
come tanto di più c’è nell’artifex
che narra le provinciali elegie del maestro Giacomo Puccini. Alla formidabile,
e ulteriore, presenza di una texture eurolinguistica
occorre infatti annettere un nuovo dominio del narratore. Non una lingua, ma più lingue concorrono a espandere l’attribuzione superlinguistica. È
una via, questa reagente entro l’eurolingua, in cui il superlinguismo del
narratore (récit, discorso libero
indiretto) germina in lessico transnazionale: inglese, francese, tedesco,
spagnolo, greco antico e latino. E in ibridismi linguistici ancora più
affascinanti, le versioni mescidate: anglo–francese, franco–inglese,
ispano–inglese, franco–tedesco, anglo–italo–francese. Ma il primato del pastiche non sarebbe completo se non annoverasse
un primato verghiano o di suoi illustri epigoni, Gadda e Pasolini, la lingua
del personaggio o il discorso diretto: il vernacolare come ultimo tassello del pastiche. In terza lettura, tra le
classi sociali basse e alcuni personaggi tra le alte, si fa strada una texture dialettale o il discorso diretto,
che completa la già eccellente capacità di scolpire l’indiretto libero. E che è
dire quanto Micheli renda il pensiero dei
personaggi e renda, etnolinguista di talento o pasticheur, la loro parola, in una voluta linguistica in cui il sublimis del narratore coabita con il piscatorius del personaggio, e in cui
oltretutto l’inventio non si dà se
non alla luce di un’eccellente capacità di variatio.
Neil
Novello
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