un articolo di Giancarlo Micheli
pubblicato sulla rivista Il Ponte – rivista di politica economia e
cultura fondata da Piero Calamandrei (Anno LXXVI, n.2, marzo-aprile 2020)
Scuote i tuoi piedi, ti
scrolla di dosso mentre attraverso la tua pupilla d’acaro penetra un raggio appena
di tutta la luce che la inondò dal pleistocene, una goccia soltanto di tutti i mari
da cui emerse ti sprofonderebbe in un abisso oscuro quanto la Fossa delle
Marianne, tant’è che i tuoi antenati ne ricercarono a lungo i segreti effluvi e
miasmi, a lungo vi lessero segni oracolari; oggi, quel che potresti ancora fare
assieme ai tuoi simili, affinché non restiate vittima del crollo di un ponte,
di una lite domestica o di un incidente sul lavoro, ti appare spesso, per non
dire in maniera sistematica, come un compito gravoso, in risarcimento del quale
ti ritieni in diritto di reclamare un ozio che non scegli, perché «l’umanità
ama parlare per proverbi, far rientrare in un caso noto l’eventuale, e più
ancora ricorrere ad un’espressione conosciuta dei sentimenti che la inquietano.
Pensa per delega. Parole che l’hanno colpita le tornano in mente. Se ne serve
così come si canticchia un ritornello memorizzato inconsapevolmente. I suoi
poeti, i suoi pensatori contribuiscono così al suo incretinimento. Si può
misurare l’influenza e la forza di uno spirito dalla quantità di stupidaggini
che fa schiudere»[1].
Il testo tra virgolette appartiene al Trattato dello stile, pubblicato
per i tipi della «Nouvelle Revue Française»[2], alla metà del 1928. L’autore
era Louis Aragon, come renderà testimonianza chiunque abbia facoltà di
aggiudicarsi una ristampa recente, al prezzo che gli varrebbe un mazzo di rose,
oppure un originale dal mercato antiquario, al prezzo di svariati quintali di
derrate. Il nome che ancora oggi si può leggere sul frontespizio, sappia, non fu
attribuito in ottemperanza alle procedure canoniche del diritto civile. La
nascita non venne protocollata all’anagrafe di Stato: esiste solo un
certificato di battesimo, depositato in data 3 novembre 1897 presso la
parrocchia di Neuilly-sur-Seine, dove nessuno dei due genitori risedeva. Il
padre, Louis Andrieux, ex-prefetto di polizia della città di Parigi, membro di
spicco della borghesia protestante, sulla soglia dei sessant’anni s’era incapricciato
della giovane tenutaria d’una pensione in avenue Carnot, Marguerite Tucas, di modesta
famiglia cattolica. Un uomo che aveva saggiato coi lombi i ronds-de-cuir[3] nei più delicati uffici
della burocrazia, calcato seggi in parlamento e fondato quotidiani d’opinione,
non poteva rovinare un’onorata carriera con uno scandalo. Dopo aver conferito
al poeta in fasce il proprio stesso nome di battesimo, in un’esuberanza d’amor
proprio, nonché i sussidiari, Marie, Alfred e Antoine, dimostrando, a sé quanto
ai depositari del documento, come egli non lesinasse affatto del proprio tempo
prezioso laddove si trattasse di riflettere su ciò che faceva, lo registrò con
il cognome Aragon, il primo che gli venne in mente, poiché gli ricordava il
periodo felice della virilità in cui aveva servito la Terza Repubblica in veste
d’ambasciatore in Spagna. Il beniamino delle Muse crebbe, pertanto, in un umile
gineceo della Belle Époque, figurando ufficialmente, affinché fosse stornato
ogni sospetto, quale figlio adottivo della nonna materna, fratello della madre
e figlioccio del padre.
Il Trattato dello stile
era stato scritto nell’estate del 1927 e concluso nei giorni in cui veniva
precipitando il caso giornalistico che scuoteva l’opinione pubblica da un bel
pezzo e conseguì l’apice della divulgazione il 23 agosto, quando i due
anarchici Sacco e Vanzetti subirono la sentenza capitale sulla sedia elettrica
di Charlestown, a dispetto di valide evidenze di estraneità ai delitti loro
imputati, le quali non bastarono a sollecitare la clemenza della Corte quanto ne
avessero stuzzicato la severità le fiere rivendicazioni in cui i due immigrati
perseverarono nel corso di tutte le fasi del processo, cosicché dovette
trascorrere ancora mezzo secolo perché un governatore del Massachusetts si
risolvesse ad ammettere pubblicamente il sopruso giudiziario, e fu proprio quel
Michael Dukakis il quale, nelle presidenziali di qualche anno dopo, i
democratici avrebbero opposto invano a Bush padre. Riservando un brano del
testo ad una sintetica rassegna stampa, Aragon vi denunciava lo stato d’animo
che quel giorno ogni essere umano provò nel consultare i quotidiani: «la
vergogna, la vergogna, a perdita d’occhio la vergogna»[4], la medesima cui va
assuefacendosi sempre più avidamente il consumatore degli odierni strumenti
mediatici. Correva, dunque, l’anno in cui le cupole della finanza cosmopolita
iniziavano a puntare con decisione sul tracollo di Wall Street, mentre Stalin
perfezionava l’architettura del capitalismo di Stato espellendo dal partito gli
oppositori Trockij, Zinov’ev e Kamenev. Non senza magnificenza, l’epoca inclinava
al crimine e al terrore. Da gennaio Aragon aveva la tessera del PCF[5], allo stesso modo di
Breton, Eluard, Péret e Pierre Unik[6]. L’adesione era maturata nella
temperie della guerra coloniale in Marocco, contro la quale furono levate
proteste fin dal quinto numero della «Révolution surréaliste», nell’ottobre del
1925, ma se le preferenze del papa di Tinchebray propendevano già allora per la
fazione che a Mosca veniva posta in minoranza, come attestò nel medesimo numero
la recensione alla monografia di Trockij su Lenin, la parabola ideologica del
camerlengo di cui lo stesso luogo di nascita è incerto seguì una traiettoria
meno precisa e, prima che egli giungesse ad una presa di distanza critica nei
riguardi del piccolo padre sovietico, sarebbero trascorsi trent’anni, tra i più
abominevoli che la Storia possa tramandare. Qualora tu volessi esprimere
giudizi a posteriori sugli errori nei quali incorre un poeta, rammenta che il
senso morale del tic nervoso che misura una vita umana sulla scala della
coscienza cosmica, pur considerato come totalità, lo comprendi solo negli
istanti in cui leggi nel passato il vaticinio che realizza la tua presente
beatitudine. Rinuncerai al piacere di tentare una volta di più, basteranno a
farti desistere i rischi che esso comporta? La Storia, ad ogni buon conto, pone
a ciascuno condizioni particolari.
Il surrealismo, che nel fascicolo doppio del
suo organo di stampa uscito nell’ottobre del 1927 ospitò un articolo sulla
psicoanalisi per i non medici nella traduzione di Marie Bonaparte[7] ed a firma nientemeno che
di Sigmund Freud, considerava il genere letterario del romanzo con sospetto,
giacché orientato dal principio di realtà ed estraneo ai domini decisivi
dell’Es, perciò Aragon aveva scritto nel Trattato che «la letteratura,
nelle diverse accezioni del termine, si chiama ricetta. Lo stile, che qua io
difendo, è ciò che non può essere ridotto in ricette»[8], precisando: «Io chiamo
stile l’accento che prende in occasione d’un dato uomo l’onda da lui ripercossa
dell’oceano simbolico che mina universalmente la terra per metafora»[9]. Dal 1923 lavorava ad un
testo in prosa, per il quale aveva escogitato il geniale titolo di La difesa
dell’infinito; ogni mese ne consegnava i nuovi manoscritti a Jacques Doucet,
couturier dell’alta moda e arbiter elegantiae di quei tempi di tribolazioni non
soltanto estetiche, il quale gli versava un compenso di mille franchi e li
prendeva in custodia nella propria collezione, comprendente autografi di
Stendhal, Baudelaire, Rimbaud, Apollinaire, Gide, Cocteau, Valéry, Proust, dei
quali soltanto nel 1929 il mecenate si sarebbe deciso a far dono all’Università
di Parigi. Coerente alle scelte politiche e alla lezione concreta della lotta
di classe, nei mesi in cui attendeva alla composizione del Trattato,
Aragon decise di liberarsi dal vincolo contrattuale, giustificandosi per via
epistolare in questo modo: «La posizione che ho preso politicamente, e che
questo testo vi vieta ormai di ignorare, vi rende senza dubbio impossibile la
mia frequentazione, impossibile l’impiego delle mie facoltà per l’arricchimento
della vostra biblioteca, dove io rischio di introdurre un lievito politico,
della vostra biblioteca che oggi mi sembra una cosa assolutamente insensata
giacché non contiene né Babeuf, né Blanqui, né Marx, né Engels, né Lenin, né
Trockij, e preferisce loro non importa che stupidaggine letteraria apparsa in
questi ultimi anni»[10]. Tale intransigenza ebbe
ripercussioni deleterie sulle vicissitudini private dell’autore delle Aventures
de Télémaque[11]
e del Paysan de Paris[12].
Entrò in crisi la relazione con la Musa d’allora, l’avvenente scrittrice
britannica Nancy Cunard[13], erede degli armatori che
a metà del diciannovesimo secolo avevano fondato a Southampton l’omonima ed
assai redditizia compagnia di navigazione, nonché pupilla dell’empireo
intellettuale cosmopolita, se è vero che non furono immuni al fascino di lei,
tra amanti e meri anfitrioni, personalità della caratura di Ernest Hemingway,
James Joyce, Aldous Huxley o Ezra Pound. Piuttosto di scadere al rango degli
infimi nella speciale graduatoria, Louis dette fondo ad un vano repertorio,
fino a culminare in autentiche intemperanze schizoidi, come quando nel mese di
novembre, in una lussuosa camera d’albergo madrilena, gettò nel caminetto tutto
ciò che gli era riuscito racimolare della Difesa dell’infinito e
l’allibita Nancy fece a tempo a salvare dalle fiamme solo pochi foglietti.
Senza il becco d’un quattrino, com’era tornato dal fronte dopo avervi servito
da barelliere e poi in qualità di aiutante medico ausiliare, si risolse a dare
alle stampe alcuni dei brani di cui era rientrato in possesso. Essi apparvero
nell’aprile dell’anno successivo, con un paio di mesi d’anticipo sulla
provocatoria opera teorica, in tiratura di sole centocinquanta copie, rilegati
in un volumetto privo di nome d’autore ed editore, intercalati alle illustrazioni
ad acquaforte di André Masson[14]. Con il titolo di Le
con d’Irene[15]
era destinato a diventare uno dei classici della letteratura erotica
novecentesca, degno di affiancare Les onze mille verges[16]
di Apollinaire, tantoché ebbe travagliate rinascite editoriali sotto varie
etichette, subendo talora sequestri giudiziari, finché oggi lo si possa
acquistare in edizioni economiche ad un costo pari al diritto di sosta per un
paio d’ore in un comune parcheggio, mentre chi volesse procurarsi uno dei
residui esemplari del 1928 dovrebbe sborsare una cifra sufficiente a finanziare
per un terzo l’acquisto di un’auto elettrica ad emissioni zero. Fino alla morte,
che lo avrebbe colto ottantacinquenne, al principio della presidenza Mitterand,
allorché il PCF faceva un’effimera apparizione al governo della Quinta
Repubblica, Aragon negò di essere l’autore di quella prova licenziosa, sebbene
l’attribuzione fosse di pubblico dominio sin dagli anni Trenta. Fatti suoi,
converrai, dai quali consegue nondimeno la rilevanza del Trattato nella
tua situazione, quando gli Stati imperialisti misurano i loro dazi nella
contesa capitale, esattamente come cominciarono allora, e dovresti ricordare
com’è finita. Dunque, per agire a tuo beneficio non rimane che prendere atto di
ciò che Aragon, in merito allo stile, sanciva allora riguardo alla religione: «Di
tutte le perversioni sessuali, essa è la sola che sia mai stata
scientificamente sistematizzata. La virtù cristiana garantisce per l’ortodossia
e costituisce un principio di normalità, che la pratica della confessione
ristabilisce e mantiene, esattamente come la psicoanalisi fa per la sessualità
cosiddetta normale»[17]. Esaminato il tema in
argomento sotto il rispetto della sintassi, dell’uso di droghe, di alcuni versi
di Valéry, dei commenti di Philippe Soupault[18] a proposito di
Lautréamont, dopo aver inanellato alla rapsodia non euclidea la parte che vi
tenevano sia le esperienze di Michelson e Morley sul principio di relatività
sia la narrativa passatista alla Montherlant[19], puntualizzata persino un’ellittica
profezia intorno M. Louis Barthou, ministro della Giustizia in carica e
destinato a cadere vittima, sei anni più tardi, per mano di un separatista
croato mentre, nel nuovo ruolo di ministro degli Esteri, riceveva il Re di
Yugoslavia, una divinazione del tutto secolare nella quale contemplava il caso
d’un anonimo cittadino che volesse mettere in rapporto le proprie parole alle
proprie azioni e decidesse quindi di attentare alla vita dello statista, né dimenticava
di ammonirlo che, «tanto vale prendere un esempio da ridere, questo crimine al
rallentatore rischierebbe d’essere prevenuto dal braccio zelante d’un
funzionario ambizioso»[20], precisato infine che,
quand’anche si scelga di attribuire ai poeti la caratteristica distintiva di
parlare di niente, sia inderogabile farlo opponendo a tale niente il qualcosa
di coloro che non sono poeti, rimarcato che «sussiste tra la vera espressione
poetica, non dico in alcun modo il poema, e le altre espressioni la medesima
distanza che corre dal pensiero alla chiacchiera»[21], esortava: «Poeta, prendi
il tuo liuto. Sì, ma chiudi il becco, quando nel leggere il tuo giornale del
mattino trovi alla fine questa sciocchezza e questa porcata intollerabili,
quando hai la straordinaria sfacciataggine di sentirti toccato se si condannano
da qualche parte a trenta, dieci anni di prigione, persone che hanno
semplicemente protestato contro il servizio di leva, o la guerra in Marocco, e
che hanno, pare, istigato i riservisti alla disobbedienza. Ebbene, inutile
girarci intorno se mi viene voglia di dire quel che penso. Io ritengo, e ciò
non ha senza dubbio la serietà desiderabile per un giudice, perfetto, ma
possiede un po’ più d’efficacia futura di una dichiarazione giornalistica
inghiottita dal cestino, poiché questa affermazione prende in prestito qui la
via d’un libro che ci si può aspettare di ritrovare a lungo nelle mani di
persone molto giovani e particolarmente inclini alla collera, io considero un
immondo abuso tale diritto che il governo e la giustizia s’arrogano in Francia
ai nostri giorni d’interdire a coloro che detestano l’esercito il diritto di
esprimere per scritto, coi commenti che aggradino loro, il disgusto che hanno
di un’istituzione rivoltante, contro la quale ogni iniziativa è umanamente
legittima, ogni attentato raccomandabile. Ed è attraverso la costrizione fisica
che codesti Repubblicani rispondono alla scrittura. Io appartengo, si dice,
alla classe del 1917. Io dico qua, e ho forse l’ambizione, certamente ho
l’ambizione di provocare con queste parole un’emulazione violenta in coloro che
vengono chiamati sotto le armi, io dico qua che non indosserò più l’uniforme
francese, la livrea che mi è stata gettata sulle spalle undici anni or sono, io
non sarò più il lacchè degli ufficiali, io rifiuto di salutare quei bruti e le
loro insegne, i loro cappelli tricolore alla Gessler[22]. Sembra che il rinomato
Painlevé, un uomo che un tempo, ma se l’aria è rimasta la solita le parole sono
assai mutate, che un certo Painlevé, ministro della Guerra, abbia firmato
l’altro giorno un decreto mostruoso secondo cui qualunque ufficiale o
sottufficiale, qualunque cretino pagato per marciare al passo, gode ormai del
diritto di arrestarmi in strada. Non bastavano gli agenti di polizia. E al pari
di loro, anch’essi sono ormai sotto giuramento. Hanno, queste materie fecali,
una parola che fa legge. Ah, l’agricoltura non mancherà di vacche. Ebbene,
poiché guardarli storto per la strada vale una notte in guardina, ho l’onore, a
casa mia, in questo libro, in questo passo, di dire che, molto consapevolmente,
io caco sopra l’armata francese nella sua totalità»[23].
Ora, ciò di cui abbisogni,
quanto dell’aria che respiri e dello spirito, fosse appena quello che basta a
comprendere il nesso causale tra la sindrome e l’ammalato, tra la vittima e il carnefice,
è un movimento internazionalista, colorato dalle bandiere da opporre come una
soltanto agli eserciti del mondo, affinché cedano le armi e l’umanità prenda
una rivincita eclatante su se stessa e la sua preistoria. Se ci sarà tempo
torneremo a parlarne, di una poetica, praticata quale arte dell’agire, che
supera l’eone aristotelico dei generi letterari e le caudate specie delle sue
connivenze con l’oppressione. A chi vorrà tornare sul tema o addirittura mettersi
al cimento auguro attimi di gioia in proporzione a quelli che ricevette il
figlio del prefetto di polizia Andrieux alla fine dell’anno in cui ci aveva
provato in tutti i modi. La Cunard gli preferiva ormai un jazzista di colore;
com’era prevedibile, il serio volume incluso nella prestigiosa collana della «Nouvelle
Revue Française» si rivelò un fallimento dal punto di vista commerciale ed
anche il libello pornografico non lasciava intravedere altro che beghe legali.
Non desterà meraviglia se egli arrivò sulla soglia del suicidio. Ciononostante,
a novembre, in una brasserie di Montparnasse, fece conoscenza con Elsa Triolet[24], cognata di Majakovskij
ed anche lei scrittrice, la quale sarebbe stata la sua compagna per il resto
della vita. Gli anni sarebbero trascorsi in larga parte invano, ad osservarli
da un qualsiasi punto ancora troppo distante dal mondo infine abitabile, sul
cammino verso il quale il nuovo amore avrebbe comunque cosparso non piccole
pietre miliari della chiarezza a venire, come nelle sette stanze che, durante l’anno
di svolta del XX Congresso del PCUS, ti rammentarono: «Io canto per passare il
tempo/ che mi resta di vita breve/ Come sulla brina si scrive/ Come si fa il cuore
contento/ Io canto per passare il tempo// Vissi giorni di meraviglia/ Io e voi,
ve lo ricorderanno/ Scavalcai il muro degli anni/ Uscii di Venere dalla
conchiglia/ Cui il nostro universo più non somiglia/ Vissi giorni di
meraviglia// Vai e queste dita spoglia poi/ Come il fronte fa con la gloria/ I
nostri occhi per primi nella storia/ Videro le nubi più basse di noi/ Ed alle
nostre ginocchia gli avvoltoi/ Vai e queste dita spoglia poi// Abbiam fatto
chiari di luna/ Per le nostre regge ed effigi/ Che importa se ora ci uccidi/ Le
notti cadranno una ad una/ La Cina s’è messa in Comune/ Noi facemmo chiari di
lune// Ne dissi oggi e ne avrò detto ieri/ Tanto fu questa vita avventura/ Dove
l’uomo crebbe in natura/ La sua voce sopra ai sentieri/ Le parole i mari e i
misteri/ Ne dissi oggi e ne avrò detto ieri// Sì per passare il tempo canto/
Col violino si usa l’archetto/ Nel rimbalzello un sassetto/ E con il mio amore
t’incanto/ Dove l’ombra mi pende accanto/ Sì per passare il tempo canto//
Intanto passo il tempo a cantare/ Canto per lasciare il tempo passare»[25].
[1] Louis Aragon, Traité du style, Gallimard, Collection
Blanche, Paris, 1928, p. 66-7. Tutte le traduzioni sono dell’Autore.
[2] La rivista venne
fondata nel 1908, su impulso di André Gide ed altri intellettuali francesi. Nel
1911 fu acquisita dall’editore Gallimard, che ne fece il proprio marchio di
lignaggio letterario, dando alle stampe Sartre, Malraux ed una messe d’astri di
prima grandezza. Nel corso dell’occupazione nazista, Gaston Gallimard accettò
di epurare i redattori ebrei e comunisti, a patto che fosse concessa
l’autonomia editoriale a Pierre Drieu la Rochelle, che dirigeva allora la
testata. Alla liberazione, ciò comportò l’interdizione sotto l’imputazione di
collaborazionismo. Sullo scorcio finale della Quarta Repubblica però rinacque
e, benché non goda del medesimo prestigio d’una volta, esiste tuttora.
[3] Il referente del
lemma francese è un cuscino di cuoio a forma di ciambella, distintivo tra gli
impiegati del terziario, tant’è che, dopo l’uscita di un fortunato romanzo del
1893 cui Georges Courteline (Tours, 25 giugno 1858 – Parigi, 25 giugno 1929)
aveva dato il titolo di Messieurs les ronds-de.cuir, venne a designare,
nell’uso comune, un passacarte, un travet, uno scribacchino.
[4] Aragon, op. cit.,
p. 121.
[5] Il Partito
Conunista Francese, in realtà, si chiamava allora PC-SFIC (Parti Communiste –
Section Française de l’Internationale Communiste), per distinguersi
dall’effimero Parti Communiste, d’ispirazione libertaria, vicino all’anarchia e
d’impronta schiettamente rivoluzionaria, fondato nel maggio del 1919 e sciolto
nel marzo del 1921. La denominazione Parti Communiste Français fu assunta solo
nel 1943. Dal 1944 al 1947 partecipò ai governi di coalizione con i socialisti,
allora ancora sotto l’acronimo SFIO, Section Française de l’Internationale Ouvrière,
e del MRP, Mouvement Républicaine Populaire, cristiano democratico. In quel
frangente arrivò ad essere il primo partito di Francia nelle legislative del
novembre 1946, raccogliendo quasi il trenta per cento dei suffragi. Le
traversie della guerra fredda e dell’attuale fase imperialistica, attraverso
una seconda effimera esperienza governativa nei gabinetti del socialista Pierre
Mauroy (1981-4), ne erosero progressivamente la consistenza, finché nelle
ultime elezioni legislative del giugno 2017 ottenne meno del tre per cento.
[6] Pierre Unik
(Parigi, 5 gennaio 1909 – Pomezní Boudy, 27 febbraio 1945), di madre olandese e
padre polacco, scrittore e sceneggiatore surrealista. Aderì al movimento fino
al 1933. In seguito, fu redattore dell’«Humanité» e caporedattore del
settimanale del PCF «Regards». Venne mobilitato nell’Esercito francese nel
settembre 1939. Fatto prigioniero, fu internato nei campi di Görlitz e poi di
Schmiedeberg. Morì all’inizio del 1945, poco al di là della frontiera
cecoslovacca, nel corso di un tentativo di fuga.
[7] Marie Bonaparte
(Saint-Cloud, 2 luglio 1992 – Gassin, 21 settembre 1962) fu pronipote di quel
Lucien che il fratello e Primo Console escluse dalla successione imperiale per
via d’un matrimonio sbagliato. Venticinquenne venne impalmata ad Atene dal
principe Giorgio di Grecia. Fu donna spregiudicata e innovatrice in campo
morale; introdusse in Francia la psicoanalisi, traducendo le principali opere
di Freud, di cui fu fedele discepola per tutta la vita. Per chi volesse
approfondire la conoscenza del personaggio: Célia Bertin, Marie Bonaparte,
Perrin, Paris, 1982; Jean-Pierre Bourgeron, Marie Bonaparte, Puf, Paris,
1997; Giancarlo Micheli, Romanzo per la mano sinistra, Manni, Lecce,
2017.
[8] Aragon, op. cit.,
p. 193.
[9] Ivi, p.210.
[10] Lettera di Louis
Aragon a Jacques Doucet del 14 gennaio 1927, riprodotta in Louis Aragon, Papiers
inédits. De Dada au surréalisme (1917-1931), éditon de Lionel Follet et Édouard Ruiz, Gallimard, Collection Cahiers de
la NRF, Paris, 2000, p. 120.
[11] Louis Aragon, Les
Aventures de Télémaque, Gallimard, Collection Une Oeuvre, Un Portrait, Paris,
1922. Nel frontespizio, un ritratto dell’autore per mano di Robert Delaunay.
[12] Louis Aragon, Le paysan de Paris, Gallimard, Collection Blanche,
Paris, 1926.
[13] Nancy Cunard
(Nevill Holt, 10 marzo 1896 – Parigi, 17 marzo 1965), fondatrice della The
Hours Press, che pubblicò, tra l’altro, l’esordio letterario di Samuel Beckett
e i Cantos di Pound. Dopo esser divenuta, nel 1928, l’amante del
jazzista afro-americano Henry Crowder, s’impegnò come militante dei diritti
civili contro l’apartheid.
[14] André Masson
(Balagny-sur-Thérein, 4 gennaio 1896 – Parigi, 28 ottobre 1987), pittore
surrealista. Allo scoppio delle ostilità, seguì la diaspora del movimento negli
Stati Uniti. Rientrato in Francia, ruppe con Breton e si legò a Bataille e
Sartre.
[15] Louis Aragon, Le
con d’Irene, René Bonnel, Paris, 1928. Sulla copertina il titolo era
composto, in nero, lungo una losanga evocante, della protagonista, le grandi
labbra vaginali, sviluppata attorno alla scritta verticale, in rosso, della
data di pubblicazione, la quale alludeva invece alle piccole. Il testo ebbe una
prima riedizione clandestina nel 1952, a cura di Jean-Jacques Pauvert e
arricchita da una stampa di Hans Bellmer, e una seconda, dieci anni dopo, con
una prefazione di André Pieyre de Mandiargues. Nel 1968 Régine Deforges,
precorritrice e paladina della narrativa lesbica, riuscì a mettere in piedi una
propria casa editrice, L’Or du temps, e ne inaugurò le pubblicazioni con
l’opera aragoniana. Il volume subì il sequestro giudiziario a motivo del fatto
di non presentare alcun nome d’autore. Qualche mese dopo, però, la battagliera
imprenditrice fece uscire una nuova tiratura recante il nome di un autore
fittizio, Albert de Routisie, cosicché il libro poté infine entrare
regolarmente in commercio. Da allora conobbe molte edizioni in numerose lingue.
Nel 1986, infine, Gallimard incluse il testo, assieme ad altri frammenti nel
frattempo recuperati, all’interno del volume La Défense de l’infini suivi
par Les Aventures de Jean-Foutre la Bite, édition d’Édouard Ruiz, Gallimard,
Collection Blanche, Paris, 1986.
[16] Edito a Parigi nel
1907 e siglato dalle sole iniziali G.A. Espone il catalogo delle perversioni sessuali
dilette al Gospodar moldo-valacco Mony Vibescu, di cui descrive le peripezie da
Parigi a Bucarest e fino a Port Arthur, dov’era in corso la guerra
russo-giapponese, e dove il protagonista patirà il castigo ad opera delle
undicimila verghe dei soldati nipponici trionfanti. Come Aragon, anche
Apollinaire non rivendicò mai la paternità del testo. Anche in questo caso, il
libro divenne disponibile ad una legittima divulgazione solo grazie alla
Deforges, negli anni Settanta del secolo scorso. All’inizio dell’attuale,
invece, rimonta una sua recrudescenza agli onori della cronaca, giacché
l’editore turco Rahmi Akdaş, vistesi distruggere tutte le copie per decreto
delle autorità giudiziarie nazionali, le quali avevano rilevato la violazione
del codice penale in vigore presso lo strategico membro della NATO con
l’addebito di «pubblicazione di materiale osceno ed immorale atto a suscitare e
sfruttare desiderio sessuale nella popolazione», fece appello alla Corte
europea dei diritti umani, a seguito del cui verdetto fu riconosciuta
l’appartenenza dell’opera al Patrimonio letterario europeo.
[17] Aragon, op. cit.,
p. 97.
[18] Philippe Soupault
(Chaville, 2 agosto 1897 – Parigi, 12 marzo 1990) fu autore con Breton degli Champs
magnétiques, esperimento originario della scrittura automatica quale
rivelatrice delle forze inconsce. Sorse però ben presto un contenzioso intorno
all’interpretazione dell’opera del comte de Lautréamont, modello di stile del
surrealismo, e sulla stessa persona di lui, tant’è vero che, allorché nel 1927 Soupault
ebbe l’incarico di redigere la prefazione alle opere complete del creatore di
Maldoror per conto dell’editore Au sans pareil, vi confuse Isidore Ducasse con
un omonimo comunardo blanquista il quale si sarebbe convertito al cattolicesimo
e si sarebbe distinto tra le vittime della repressione per l’odor di santità,
equivoco tale da destare l’indignazione di Aragon nelle pagine del Trattato.
[19] Henry Marie
Joseph Frédéric Expedite Millon de Montherlant (Parigi, 20 aprile 1895 – Parigi,
21 settembre 1972), veterano della Grande guerra e tardivo esponente del
decadentismo, collaborò con i nazisti durante Vichy. Dopo un anno di bando,
poté riprendere nel dopoguerra l’attività letteraria e si suicidò agli inizi
degli anni Settanta.
[20] Aragon, op. cit.,
p. 218.
[21] Ivi, p. 231.
[22] Albrecht Gessler,
leggendario balivo asburgico del cantone di Uri durante il quattordicesimo
secolo, difensore della sovranità imperiale sulle terre elvetiche contro Wilhem
Tell, reso celebre quale personaggio dell’omonimo dramma schilleriano e
caratterizzato dal copricapo guarnito con piume di pavone.
[23] Aragon, op. cit.,
p. 233-6.
[24] Nata Ella Jurev’na
Kagan (Mosca, 12 settembre 1896 – Saint-Arnoult-en-Yvelines, 16 giugno 1970), era
la sorella di Lilja (Mosca, 11 novembre 1891 – Peredelkino, 4 agosto 1978), la
quale sposò Osip Maksimovič Brik, uno dei promotori, assieme Viktor Šklovskij e
Jurij Tynjanov, dello Opojaz, gruppo per lo studio del linguaggio poetico
fondato a Pietrogrado alla vigilia della Rivoluzione. In seguito, Lilja sarebbe
divenuta l’amante di Vladimir Majakovskij e dal 1923 i tre convissero secondo i
principi černyševskijani del libero amore, fino al suicidio del poeta nel 1930.
Ella, invece, incontrò nel corso della guerra l’ufficiale francese André
Triolet, di stanza in Russia. Al termine del conflitto lo seguì a Parigi, dove
i due si unirono in matrimonio. Nella sua attività di scrittrice di prose,
versi e saggi critici utilizzò sempre il nome francesizzato di Elsa e con lo
stesso venne immortalata nelle liriche più celebri del nuovo consorte, col
quale convolò a nozze il 28 febbraio del 1939 per condividere poi le traversie
della Resistenza e della Guerra fredda.
[25] Louis Aragon, Le
roman inachevé, Gallimard, Collection Blanche, Paris, 1956, p. 157-8.
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