una recensione di Enzo
Santese al romanzo
Esposizione dell’Amore
(Campanotto, 2023)
pubblicata sulla rivista Amicando semper (n.61, febbraio 2024)
Il
romanzo Esposizione dell’amore (Campanotto, Pasian di Prato/Udine) è
indubbiamente un esempio di come la puntualità saggistica possa innestarsi
perfettamente nel flusso fantastico di una tessitura narrativa dai molteplici
riflessi strutturali, con la capacità di caratterizzare un’opera rilevante per
la coesione degli elementi costitutivi in un complesso unitario. Giancarlo
Micheli gioca su una piattaforma culturale, che gli appartiene a pieno, e che
attraversa la letteratura, la storia, l’arte in un intreccio che l’autore sa
districare con l’autorevolezza di chi utilizza episodi come quinte teatrali di
una rappresentazione che nasce su un repertorio immaginifico, utile ad
ipotizzare orizzonti verisimili in una narrazione tesa tra due polarità
temporali, l’esposizione internazionale di Parigi del 1889 e l’inizio della
guerra spagnola nel 1936. È uno spazio di meno di cinquant’anni, ma nella
densità della trama impastata con gli eventi reali diventa materia pulsante per
lo scrittore che la svolge e la dipana come una pellicola, pensata per
un’analisi profonda delle dinamiche interne all’individuo e alla società di
riferimento. Il tema – come recita esplicitamente il titolo – è l’amore,
vissuto negli ambienti ovattati di una borghesia francese che non ha
dimenticato le modalità espressive della nobiltà. E allora Micheli scolpisce
gli “attori” come autentiche presenze alla sua maniera, che è vicina al lavoro
miniaturistico, data la cura ad evidenziare il dettaglio apparentemente
insignificante o, comunque, secondario rispetto allo sviluppo della narrazione.
In un periodo come questo che registra molti cultori della poesia virata verso
la prosa, Micheli si segnala sempre per un tipo d’espressione che non lesina al
racconto la misura della poesia, anche con guizzi improvvisi verso
un’accensione del tono per poi modularlo secondo le esigenze rappresentative
del mondo che l’autore inventa a immagine e somiglianza di quello vero.
I
personaggi mai sono il risultato di una trovata casuale, anzi rispondono tutti
a una precisa esigenza, davvero sentita da Giancarlo Micheli, di farli uscire
dalla bidimensionalità della pagina e proporli in movimento su uno scenario
credibile della storia. È quanto avviene per Édouard André, uomo d’affari tra i
più in vista del periodo bonapartista, che nel romanzo emerge nella sua
dimensione privata, quella che contrasta con la sua figura pubblica, di uomo
impegnato a racimolare dando sempre, apparentemente, il privilegio al denaro.
La moglie poi, Nélie Jacquemart, è ritrattista stimata soprattutto perché
figura di spicco dell’alta società parigina. I due coniugi costituiscono un
sodalizio affiatato anche sul piano delle scelte culturali, fatte in ispecie
nell’ambito del collezionismo d’arte d’alto profilo, che consente loro di dar
vita e corpo, nella quantità e nella qualità, a una poderosa mole di capolavori
della pittura e scultura non solo contemporanea. Attorno a loro Giancarlo
Micheli crea un vorticoso corteggio di presenze che formano uno straordinario
“mosaico” antropologico e sociale, nel quale si segnalano differenze
sostanziali anche tra appartenenti alla medesima classe, sollevando il velo dei
lustrini tutti superficiali e mettendo così a nudo requisiti di pregio e
tendenze di biasimo di una società più problematica di quello che mostra nelle
sue manifestazioni esteriori. Tra tutti si sbalzano con plastica evidenza il
nobile banchiere Edmond Rothschild, noto per le sue azioni filantropiche, il sociologo
Gustave Le Bon, uno dei primi a studiare la psicologia delle folle, Paul
Déroulède, uomo dal multiforme ingegno convogliato peraltro quasi
esclusivamente nella politica di matrice revanscista. E poi entrano ed escono
di scena con ritmo incalzante poeti di varia caratura, letterati di grido,
imprenditori ambiziosi, esponenti dell’ala anarchica della politica del tempo.
Le opere d’arte, allineate nel cosiddetto hôtel particulier di casa André, sono
apprezzate da un vasto pubblico di estimatori. Tra questi si agitano pensatori
e artisti che promossero l’azione rivoluzionaria del surrealismo. E qui
comincia la seconda parte del libro, dominata dalla figura carismatica di
Benjamin Péret, amico di André Breton, che fu l’anima di quel cumulo di
sussulti civili, ideali e creativi del movimento che sconvolse le sicurezze
fino ad allora acquisite, su un palcoscenico interdisciplinare, volto
soprattutto alla letteratura, alla pittura e al cinema.
Giancarlo
Micheli si muove con circospezione nella congerie dei suoi numerosi personaggi
ma lo fa con la sicurezza che gli deriva da una conoscenza profonda e
dettagliata di tempi, luoghi e persone impegnate nel teatro della vita
quotidiana. E dando voce ai singoli con una caratterizzazione espressiva –
questo è uno dei dati fondanti dello scrittore di qualità – che durante la
lettura rende riconoscibili ognuno dei vari attori di questa commedia
composita, dove storia e fantasia, lungi dall’elidersi a vicenda, si alimentano
in un quadro sommosso di suggestioni.
Enzo
Santese
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