«XV. Tu che non ti sei
piegata / Ai primi freddi della quarta glaciazione / Perché nel mondo interiore
non vige legge di consolazione / Della termodinamica non vi si osservano i
principi / Né una salomonica distribuzione / Dei delitti e delle pene / Tu che
libera ti sei spogliata / Della negazione di questa vita / All'occhio che
fiorisce infinito / Contemplando sovrano il mondo in sé / Appari nel disgelo di
quest'ora / Fiore di loto dalla neve di Aprile» (p. 160).
E' uno dei componimenti (il terzultimo) che chiudono questa terza
e più complessa raccolta di
versi di Giancarlo Micheli. La "quarta glaciazione" cui si fa
riferimento è naturalmente quella contrassegnata dal fiume Würm in cui
raggiunse il punto termico massimo di avanzamento dei ghiacci. Anche se avvenne
nel Pleistocene, all'incirca 12.000 anni fa, è, in realtà, l'ultimo punto di
riferimento umano nell'avvicendarsi di epoche calde e fredde nella storia del
continente terrestre. E' inutile dire che quella della glaciazione è una
metafora molto efficace della condizione umana nell'epoca della globalizzazione
e della trasformazione in merce dei sentimenti, degli affetti, delle vite umane
e della poesia che essi alimentano. Ma se tutto si limitasse o si riducesse a
questo, la poesia contenuta nel volume lirico di Micheli non sarebbe altro che
un esercizio sociologico di rabbia e di indignazione forse profetica, non un
tentativo di esplorazione poetica delle frontiere superstiti o residue
dell'umano. Come lui stesso aveva scritto precedentemente, in una lunga suite
poematica intitolata Rivolta in cinque stanze e dedicata all'elenco
delle doléances del presente:
«4. In un arido
settembre della quarta glaciazione / I miei libri mi trovano con facilità /
Mentre in convivi e in adunanze / Un pullulare di polluzioni / Implica la
schizofrenica povertà / Di chi vende prole e giorni ad esperimenti / Educativi
in regime di mercato / Che è tutto quello che di libero rimane / Quando i
funzionari dei beni culturali conferiscono licenze / Secondo i circoli viziosi
della loro paranoia / Sacrosanta per cognizione del dolore dell'altro // Sarà
scaltro peraltro a sua insaputa / II medico che fa la piaga pietosa / Per esosa
mercede e compatibile / Alla dogmatica delle forme spurie / Quanto potrà essere
onesto / Nel seguire la virtù / Profonda a misura del fiume sensibile / E fino
al placido estuario della mente / Quando vi reca la cura della verità / Sarà
oggi e non sarà domani / Quando avrà la gioia e l'eguaglianza / Di giustizia e
di bontà / Umane per desiderio della vita / E consistenza di memoria / Nuova
gloria che non affonda infine / Nell'onore di abissi di abiezioni // Pietre
reiette di abusati paragoni / Giacciono a fondamento di superflue novità /
Mercantili perché a dovere moltiplicata la dominazione / Di vili passioni
locupleta gli ipocriti e chi mente / Per contraffatta pietà ed interessata ...»
(pp. 104-105).
La "quarta glaciazione" è, dunque l’"orizzonte degli eventi" della poesia di
Micheli.
All'interno della società attuale, il suo sviluppo apparentemente invincibile e la sua
pervasività sono quelli di sempre. Ovunque, in essa, infatti, domina un inverno
pesante e ottuso, fatto di corruzione e di miseria, di dolore e di morte, un
panorama che non sembrerebbe lasciare spazio al futuro. L'orizzonte della poesia
di Micheli è - lo si è già detto - un presente dilatato all'indietro fino ad
inglobare il passato tutto dell'umanità. Si tratta di un panorama freddo,
sconvolto, desolato quello che lo contraddistingue e dove domina la logica del
profitto e dell'alienazione umana e da cui ci si può salvare soltanto
attraverso la lotta, lo scontro frontale con esso, la volontà di non cedere e
non assuefarsi ad esso. La forza che lo rende apparentemente invincibile è la
morte di ogni speranza nella possibilità di rovesciarlo e cambiarne
drasticamente le coordinate strutturali. L'arma migliore per contrapporsi
all’"inverno dello scontento" che incombe e rende impraticabile
l'orizzonte futuro dell'esistenza degli uomini, è, allora, il sentimento
d'amore - l'unico sicuramente e globalmente in grado di "cambiare la
vita".
Come per i Surrealisti che restano pur sempre la bussola cui
Micheli ama orientare il timone della propria poesia (e gli esergo che aprono le diverse
sezioni che compongono il libro stanno lì a dimostrarlo), "trasformare il
mondo" (marxianamente) non avrebbe senso se non fosse la stessa idea di
esistenza umana a mutare radicalmente e profondamente (come è noto, è proprio
questo lo scacco maggiore delle grandi procedure rivoluzionarie del Novecento
ormai trascorso). La poesia militante che attraversa con toni tra l'accorato e
il sarcastico il libro si coniuga, quasi sempre, con l'evocazione della
passione d'amore. Il sentimento della rabbia e dell'indignazione per il
"dolore del mondo" si trova pur sempre collegato all'evocazione delle
persone amate come parentesi di felicità e di piacere nell'ambito di
un'esistenza che sembra, ogni volta, scattare come una trappola per impedirne
il dispiegarsi della passione e del sogno.
«Io e te nasciamo in
ogni istante / Quando abbandoniamo del tempo il pregiudizio / E rovesciamo il
compito impartito / In tutto quello che è scambiato con l'amore / Al prezzo del
pane quotidiano / Che hanno spezzato lungo le nostre schiene / Per venderci una
doverosa gravità / Quella che ci confonde di chiarezza quotidiana / Di ossequio
alle divinità di ciò che è stato / Le meglio presentabili e dal dubbio più
esentate / Perché noi sappiamo anche il cattivo viso / Al di là del bene
carnefice e mansueto / Che allestisce il gioco per le vittime predestinate /
Noi destiniamo all'eternità la mente e il cuore / Gli elementi del sogno che si
avvera / Sappiamo il gioco spietato della meraviglia / Sulle cui ciglia la
lacrima è innalzata alla visione / Distinta dell'unità dell'anima nel caso /
Dove il tempo si combina al desiderio / E ride ciò che è serio / E il volto è
riconosciuto / Umano specchio che nel dio riflette l'animale / Finché
all'infinito presente / Coniuga di noi gli occhi e le parole / E la felicità è
alla portata del senso e della mano» (pp. 156-157).
I due poli della produzione in versi di Micheli, dunque, la
critica della società del presente e la
violenza che esercita sui soggetti che la costituiscono e la via d'uscita da
essa rappresentata dalla "rivoluzione a due" che avviene nel momento
dell'innamoramento e poi della passione amorosa si congiungono sovente nel
corso di lunghe esternazioni di tipo paratattico che sembrano scardinare il
ritmo consueto della scrittura nella tradizione della poesia italiana.
L'inanellarsi fitto
e deciso delle situazioni descritte e delle passioni provate ha la (probabile)
funzione di accentuare in senso dimostrativo e sovente narrativo quello che
potrebbe sembrare il puro e semplice congiungersi delle parole nei momenti più
a lungo usati (e spesso inutilmente abusati) della poesia lirica immessi nel
loro significato come tradizionalmente viene indicato ed espressi. Per Micheli,
allora, più che costruire una nuova "tradizione" della poesia a
venire si tratta di verificare le basi e di ricostruire dalle fondamenta quella
che c'è già.
In effetti, nel suo stile di scrittura, non c'è sperimentalismo o plurilinguismo ostentati
come armi distruttive del retaggio del passato quanto il rifugio in una lingua
spesso ripulita da facili neologismi o mimetismi ostentati in senso corrivo e,
quindi, facilmente consumati. In senso opposto rispetto alla riconduzione del
linguaggio lirico all'andamento prosastico che sembra contraddistinguere molte
esperienze della contemporaneità poetica, Micheli punta alla ricerca di un
linguaggio non certo ermetico né "puro" (alla Mallarmé) ma
sicuramente terso e liberato dalle incrostazioni più esacerbate, incitate e
infette del consumo linguistico corrente.
La sua lingua della poesia è quella di chi vorrebbe rimandarla ed esporla come un'etica della
vita e ricongiungere, in un solo circolo esistenziale, critica dell'esistente
infausto e retrivo e apertura verso l'utopia della libertà amorosa.
Nelle cinque sezioni che costituiscono il tessuto
lirico-descrittivo della poesia di Micheli, i diversi momenti che costituiscono
il suo progetto di lettura del mondo che lo circonda si intrecciano e si
articolano tessendo una tela di rimandi morali e di accensioni intime fino a
rendere il loro ritmo incalzante e continuo come le onde del mare, tante volte
evocate nei suoi componimenti, che si infrangono infaticabili sugli scogli che
circondano i porti o la battigia in cui va a morire la spiaggia dalla sabbia
innumerevole sempre rinnovata dal Tempo e sempre apparentemente uguale di
fronte alle sue sollecitazioni pulsanti.
Continue e poderose come la spinta candente delle onde marine, le
lunghe emanazioni liriche della produzione di Micheli ritrovano una loro
possibile sintesi finale nell’"armonia delle labbra e del silenzio"
il cui tratto evocativo chiude il libro. Le parole della rabbia rimandano al
silenzio del sentimento amoroso e si congiungono in un cerchio incantato in cui
domina l'utopia del mondo senza il Male.
Giuseppe
Panella
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