pubblicata in Erba d’Arno (n.130/1, autunno 2012 - inverno 2013)
L’empatia tra
lo scrittore e il proprio mondo scritto è il primo rilievo esemplare di Indie
occidentali (Campanotto, 2008) di Giancarlo Micheli. Scrivendo, Micheli
abita il mondo che scrive, lo abita perché al romanzesco affida un compito
esemplare, rivelare la realtà attraverso la sua agnizione. Riconoscere la
realtà, in Indie occidentali è riconoscere il destino di Aurelio ed
Erminia, emigranti italiani tra New York, Chicago e Paterson, creaturalità
sospese tra due dimensioni: lo struggle for life e lo struggle for
revolution.
Empatia e
agnizione, dunque. E lingua. Micheli è anzitutto un grande scrittore, è un
narratore di “prima”, un cesellatore d’incanti linguistici. A rigore, la lingua
del narratore stacca verso l’alto del sublimis, la lingua dei personaggi
riflette una polifonia propria al basso del piscatorius. Micheli parla
la lingua dello scrittore culto, il personaggio, un’altra lingua, la
lingua della sua cultura. Non è un caso, è uno studio, è l’onestà. Verrebbe da scrivere,
la bellezza interiore di ciò che nel romanzo più immane: lo stile.
Il marxismo
linguistico di Micheli non è però un mero fatto di stile, è la coscienza
sociologica di chi guarda alla lingua in prospettiva plastica, vi guarda con
l’immedicabile amore con cui si guarda un mondo da un ideale rasoterra.
Ecco perché Indie occidentali chiama anzitutto al dovere della
responsabilità. È un abitare il proprio mondo, che non specchia una pura
visione del mondo, non è un’ideologia, è l’isolarsi nell’accanto della
nuda vita sottoproletaria. Al fondo del Maëlstrom, già una figura emerge sovranamente, un tipo del Pasticciaccio gaddiano o di un qualunque Riccetto
pasoliniano: è Venanzio. La lingua di questo indimenticabile “borgataro” di New
York è tutta la sua complessione antropologica: la nuda vita vivente di musulmänner,
di dochodjaga.
Se Venanzio
abita l’ideale fondo dell’inferno, un inferno cui Micheli dà forma di
contenuto, Indie occidentali è una spirale, un Maëlstrom per l’appunto
rincamminato dal narratore, spira dopo spira, alla ricerca dell’alto. È un
romanzo d’inabissamento e riaffioramento: Venanzio, certo, ma anche i
protagonisti, Aurelio ed Erminia, il Sor Clemente, la sociologa marxiana
Sophonisba, il fidanzato economista Jack. Un romanzo dell’interclasse, un
romanzo–universo, un romanzo epigono, epigono – lo si può dire brutalmente –
della grande tradizione russa: Dostoevskij, soprattutto Čechov.
D’apocalisse
in apocalisse (l’incendio del bar di Aurelio), di speranza in fuga, l’abbandono
di New York è anche la cancellazione tragica dell’american dream, di
quel che Baudrillard figurava come la città di chi pensa solo, canta
solo, mangia solo, parla solo. È l’America d’America.
Dimenticare New York a Chicago. Un segno della svolta tragica in Aurelio ed
Erminia è il coatto regresso di classe, lo sprofondamento destinale: dalla middle
class newyorkese alla caduta, la vita proletaria, la via all’epopea
del ricominciamento. Per Aurelio ed Erminia è perdere il primato per lo scacco,
per il narratore è accendere il fuoco del politico. Nasce la fedeltà
all’inerme. Tra il tragico creaturale e il politico narratoriale, Indie
occidentali svetta. Il romanzo è develato, appare come pretesto a sé:
Lo stato delle cose adesso sussistenti è la
virtualizzazione della società, un dilagare panico di moventi individuali tanto
artificiosi quanto efficaci, impersonali e disanimati; è il dominio
dell’inesistente corroborato nei fatti della vita fino alla verità assoluta ed
ubiqua del codice di tutte le disciplinate liturgie, politiche, economiche,
esistenziali, psichiche, religiose, relativistiche ciascuna imposta dal
consenso di illusori adepti. Questa pur sintetica digressione serva a chiarire
il senso della ricerca nel passato attraverso la presente narrazione.
Il romanzo è
alla confessione. Anche l’autore di Indie occidentali. Il passato è
pretesto (predestinazione), cardine al presente. È fonte di comprensione
culturale. L’odissea di Aurelio ed Erminia culmina nelle lotte sindacali a
Paterson (Aurelio è operaio e lotta contro il padrone Catholina). Quando lo struggle
for life non può che essere struggle for revolution, lì rivela
l’impensabile. Il presente storico, il regno del dominio capitale, è solo una
pallida corruzione dell’epopea sacrificale dei nostri padri. Indie
occidentali diviene. O si rivela quale documento di una traslata
autobiografia dell’interiore, la testimonianza del segreto dolore per un mondo,
questo umanissimo del romanzo, in cui Micheli sublima con accanita passione un
destino mai venuto a noi. Una promessa (forse) mancata, se poi Eugenia,
la figlia di Aurelio ed Ermina, è l’ala futura che non tradisce il passato.
Anzi recupera in simbolo (la costruzione di un teatro: la rivoluzione di
Erminia e Aurelio sarà allegorizzata al Madison Square Garden) proprio la
grande lezione del padre e della madre.
Neil Novello
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