recensione a Il fine del mondo (Ladolfi, Borgomanero
2016) di Giancarlo Micheli
a cura di Luciano Nanni
pubblicata in Literary n.3/2016
Narrativa. Un romanzo che
fin dal titolo pone una questione a dir poco filosofica. Ma il testo si
distingue per una duplice linea: la scrittura quale elemento che dispiega le
sue potenzialità con un lessico particolarmente vasto, correlando spesso a ogni
suo tratto espressivo la funzione del linguaggio figurato che quindi esce da
una descrizione solo formale, ma nel contempo si assiste a immagini indefinite,
dove luoghi e personaggi, riferiti a una ‘mitologia’ storica guidano progressivamente
alla conclusione.
Un altro modo per decifrare
l’opera è il profilo collettivo in cui l’individuo si connota secondo caratteri
peculiari, mai sottratti dall’insieme; è quasi una fuga verso
paesaggi irreali, un’utopica unità che va sintetizzata: “L’anima del mondo e
degli esseri è una.” Allora lo spessore concettuale emerge nitido, sfiorando
talvolta il paradosso, già implicito nella realtà in cui viviamo: “soltanto se
hai il coraggio di sbagliare consapevolmente ti sarà dato di trovare la
verità”; è proprio quell’avverbio a concepire una conoscenza diversa da come si
era finora intesa.
Capire il
fine forse non ci è concesso; per alcuni l’esistenza è una palude piatta e
priva di costrutto, per altri il significato va inteso avvicinandolo all’io:
comunque sia un libro come questo ci mette in guardia da una società che rende
precaria l’eventuale armonia del mondo.
Luciano Nanni
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