recensione di Fabio Flego
a II fine del mondo (Ladolfi, Borgomanero , 2016, pp. 126, € 12) di Giancarlo Micheli
a II fine del mondo (Ladolfi, Borgomanero , 2016, pp. 126, € 12) di Giancarlo Micheli
pubblicata in Erba d’Arno (n.144/145, primavera/estate 2016)
Giancarlo Micheli, classe
1967, si dedica alla scrittura, in versi e in prosa, da oltre vent’anni ed ha
al suo attivo numerose pubblicazioni comparse in volume, in riviste letterarie
e in antologie.
Delle sue raccolte di
poesia si segnalano Canto
senza preghiera (Baroni,
Viareggio 2004), Nell’ombra
della terra (Gabrieli, Roma
2008) e La quarta glaciazione (Campanotto, Udine 2012).
In ambito narrativo, II fine del mondo è il suo quarto successo
editoriale. Dopo l’esordio con Elegia
provinciale (Baroni, 2007),
un romanzo giallo, storico e biografico al tempo stesso, una love story,
un’analisi di coscienza e delle coscienze che sul Lago di Massaciuccoli,
«specchio di antichi e selvaggi enigmi», vedono protagonisti il maestro Puccini
e le sue donne, passando attraverso la storia, in Indie occidentali (Campanotto, 2008),
dell’emigrazione di una coppia di giovani sposi toscani «guidati dal desiderio
di affermare valori condivisi e di progredire umanamente», fino al viaggio
narrativo di La grazia
sufficiente (Campanotto,
2010) «per risalire al tempo dei primi contatti tra le culture occidentale e
orientale, alla ricerca di una vita umana e sensibile, equanime e felice»,
Micheli torna ora a stupirci con il messaggio subliminale di questi trenta
capitoli coinvolgenti e
scioccanti, impreziositi da un prologo, un epilogo e un’appendice illuminanti,
che, con l’incalzante urgenza di trenta sequenze sceniche non sempre
consequenziali, si rincorrono per dare una visione utopica della realtà ed
invitare a una riflessione sul fine dell’esistenza o sulla cognizione di un
mondo infine abitabile.
Il fine, appunto, sostantivo maschile, come scopo o
termine cui è diretta un’azione [lat. finis, per calco dal gr. τέλος nel
significato di «fine, scopo»], ma anche il/la fine, sostantivo maschile e femminile
ma più comunemente usato al femminile, come l’ultima parte, l’ultimo tempo
d’una cosa, il punto o il momento in cui questa cessa [lat. finis «limite, cessazione»], secondo la
definizione del lemma riportata sul Vocabolario
della lingua italiana Treccani.
Micheli, deliberatamente,
opta per il maschile e in uno scenario apocalittico dipana un’onirica analisi
dell’inconscio collettivo che guida le dinamiche del potere ed innesca
soluzioni di non ritorno verso un’ipotetica terza guerra mondiale nucleare tra
gli Stati Uniti d’America di un presidente permissivo e impotente seppur «presuntuoso narcisista», Wu,
«prigioniero» dei vertici militari che lo escludono dal banco di regia e ne
revocano ogni legittima autorità per appagare «il loro sogno [...] di regnare
[...] sopra un mondo di rovine», e la Repubblica popolare cinese del presidente
Wei.
Sullo sfondo, ad
alimentare i venti di un’aperta dichiarazione di guerra, anche «le politiche [cinesi] di
manipolazione della valuta», che danneggiano l’economia nazionale statunitense,
e «la piaga nefanda degli aborti clandestini e degli infanticidi», legata alla
legge limitativa delle nascite e ad «un’alleanza di interessi per il controllo
economico e biologico della classe lavoratrice cinese», che offende la
coscienza di qualsiasi uomo e non consente ai giovani in Cina di disporre
liberamente della propria sessualità e della propria vita.
Eppure i prodromi della
catastrofe e delle sue conseguenze si erano già manifestati in Natura con le
inclementi calamità di un’alluvione e di un fortunale d’inaudita violenza, con
la frana a valle dell’intero costone di una montagna, col flagello di una
carestia... come se, appunto, la Natura, con la sua forza devastante, volesse
mettere l’Uomo di fronte alle sue responsabilità di un attacco atomico
definitivo, i cui esiti ben documentava un’esposizione di cadaveri dilaniati al
Museum of Modern Art of New York, «un autentico pugno nello stomaco,
un’autentica strizzata alle viscere immonde del militarismo».
È un sogno, alla fine,
quello che i quattro superstiti protagonisti saranno chiamati a rivelare e
decifrare al presidente Wu, responsabile dell’esplosione di una devastante
testata all’idrogeno che aveva «procurato tanto male a bambini innocenti, donne
e uomini che coltivavano il sogno di una vita felice». Addirittura i vivi
rimpiansero la morte e «le madri videro le carni dei figli aprirsi come fiori
di morte»!
Da un lato, il concreto
mondo occidentale di Mark e Sophie, due vite perse in momenti «di umana felicità
e mutua empatia» e congiunte nell’atto d’amore fisico e spirituale che compone
i loro pensieri in un’univoca armonia di percezioni e, in sintonia, genera
all’unisono la domanda «Chi sono io?» e, nella «contemplazione degli eventi
futuri», la concisa ed efficace sentenza: «io sono colui che sarà». Un
messaggio in codice, se vogliamo, che Mark fonda sulla conoscenza del cuore e
dell’anima di ogni essere umano per rigenerare una nuova vita sulla terra, per
spargere «il seme da cui germoglieranno vite future».
Dall’altro, il mistico
mondo orientale di Huang e Kuei Fei, disegnato attraverso le sensazioni d’amore
«delle loro anime lungo il sogno, ciclico e infinito, delle morti e delle
nascite», e l’osservazione di sé
dall’esterno nell’«attraversare la grande acqua, e giungere infine presso ciò
che sarà».
Quattro personaggi
sottratti alla morte per il nobile fine della rivelazione, ma dannati «all’esperienza del fallimento delle
più profonde aspirazioni».
Un romanzo, dunque, che è un distillato di densa prosa poetica
dal carattere forte e deciso, ma dal tono malinconico e sentimentale, talora
angoscioso, nelle altalenanti dicotomie tra guerra e pace, luce e ombra, amore
e odio, felicità e dolore alla base di una trama profonda, discussa con valido
spirito critico. L’ampiezza concettuale del narrato si materializza in un
linguaggio cólto ed essenziale, com’é nelle corde di Micheli, giocato sulla
ricerca ossessiva del lemma, che così impreziosisce le sapienti descrizioni della
natura e degli stati d’animo.
Forse, ad una prima
lettura superficiale, il lettore potrebbe rischiare di smarrirsi nel caotico
flusso di coscienza della narrazione e perdere le coordinate di azione, spazio
e tempo del romanzo, ma Micheli conosce bene le asperità e le difficoltà della
propria scrittura e quindi lo invita, sternianamente, a collaborare con
l’onnisciente io narrante alla conduzione dell’opera («il lettore serberà una
pur vaga impressione», «se il lettore avrà in precedenza», «il lettore vorrà
accettare di buon grado»), finché
non sia giunto, dopo la formulazione di alcune ipotesi necessarie ed immanenti
alla realtà in cui lo ha accompagnato, il momento diegetico di suggerirgli l’explicit di cui l’umanità è il vivente
argomento: «Allora, forse,
desidereresti vivere di nuovo l’alba dell’umanità; sapresti se, oggi, vorrai
soltanto sopravvivere alla malattia che, fuori e dentro, ti contagia, oppure
guarire».
Fabio
Flego
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