una recensione di Carmen De Stasio a
Romanzo per la mano sinistra (Manni, 2017)
di Giancarlo Micheli
pubblicata in “Cultura e Prospettive”
In una fluida narrativa per evidenze, Romanzo
per la mano sinistra di Giancarlo Micheli consolida l’impressione di
continuità antidiegetica propria del territorio umano. Nella
flessione severa degli eventi, la scrittura paratattica si affida a gesti
dinamici, a vasti significati intrinseci, mediante i quali Micheli giunge come
sfida alla lacerazione quale esperienza capace di aggregare tanto l’intimità
dei personaggi, che la loro concretezza, in una figuratività in continuo bilico
tra presenza decisa e dissolvenza. Con animo critico l’autore intervista la storia nelle sue
puntualità intellettuali, senza mai trascendere in una solarizzazione
emozionale suggestiva, pur nell’aleggiante senso di privazione che ivi alberga
in un tempo totalmente dominato da una precarietà tuttavia inadatta a sgominare
la speranza.
[Stefan scrive nella lettera al figlio Bruno] Spero ciò ti sia viatico affinché tu giunga, in un
giorno che tardi abbastanza perché non ti capiti di rimpiangere prematuramente
il tempo che pure perderai vivendo, a fare la felice esperienza in cui le tue
parole toccheranno l’anima di un altro, un tuo simile, grazie al cui libero
ascolto esse prendano il loro senso, proprio e particolare, tale da renderle
fulgide di tutta la luce che un’esistenza umana getta sul mondo, dal suo
principio alla sua fine attraverso le epoche e le generazioni.[1]
Dalla commistione dei casi – ritratti di circostanze dall’apparenza
talora fortuita, che tracciano la rotta (sovente involontaria) intrapresa dai
componenti il medesimo nucleo familiare (personaggi portanti sono Stefan Bauer,
Adele Ascarelli, sua moglie, e il figlio Bruno) – si penetra l’intimità di un’epopea
che scansiona le protuberanze territoriali, per evolvere in una sorta di
unicità simultanea che dilania le diversità dei luoghi nel loro valore
astrattivo. Pur provenendo da realtà diverse anche dal punto di vista sociale (Stefan
è austriaco, Adele ha le sue radici in una prestigiosa stirpe industriale
napoletana), ciascuna porzione minimale trasporta i segni delle tante storie
che, sebbene stagliate su orizzonti dall’improbabile legame, confluiscono in un
intreccio di verità e invenzione dagli effetti sapienziali e svolte
interlocutorie, e dirigono una prospettiva sottoposta a incessanti
(ri)elaborazioni, perché diventino centri di diffusione di una meta-vicenda
che, svoltando da una situazione unifamiliare e adiabatica, valica luoghi,
tempi e situazioni, in una convergenza che s’arricchisce di particolari e che,
infine, coinvolge integralmente il lettore.
L’addensamento dei frammenti in un’irrisolvibile maieutica comporta
tanto la co-agenza di personalità realmente vissute, che il loro riferimento
(spesso indiretto) ad ambienti e posizioni, se si vuole, dissociati tra loro.
Distolti dalla dimenticanza e «[…] spronati a partecipare ad un epocale
rinnovamento dello spirito e delle fondamenta concrete dell’esistenza»[2], ciascuno compare in un’identità
a encausto, epperò tendente a una conclusione retriva rispetto al principio di
evoluzione che, d’altro canto, dovrebbe assicurare l’immanenza dell’individuo. Va
a stabilirsi così un rapporto reale in continuo accadimento dal carattere
eponimico, che si dilata e si restringe in misura delle situazioni in una
perturbabilità mnemonica comprensiva.
Nella possente natura antonimica, le scoperte sconvolgono, sedimentano
tracciati moltiplicabili e mai collaterali, per ritrovarsi in una conclusione
predestinata a una nuova, esclusiva estensione, che pure vaga in un’eterna e prodromica
provvisorietà, il cui segno asfittico è nell’«aforisma strindberghiano per cui l’inferno non sia
altro se non il mondo in cui viviamo?»[3]. In quanto documentale e sfuggendo alla
tendenziosità, l’opera calibra una struttura investigativa che riempie spazi
oscurati dalla sottrazione sconveniente; riconquista identità («La
verità non può essere consuetudinaria»)
e, anche quando l’identità appare grama e improvvida, continua in
un’intelaiatura di fatti dalle temperature mutevoli, collocate in un
giogo di estremizzazioni che non lascia tregua al ristoro, né però converge in
disperazione.
La verità non può essere consuetudinaria. In natura,
la totalità dell’esistenza è fondata sulla metamorfosi, l’inesausto mutamento
delle forme e delle sostanze. Discipline quali la matematica, o perfino il
diritto positivo, stanno a dimostrare come la coscienza umana abbia nutrita in
sé la salubre ambizione ad emanciparsi da parvenze ed efferatezze, […][4]
Diversamente da come ci si attenderebbe, espandendosi all’indietro come
memoria di memoria, le immagini mobili consentono l’accesso alla
rilevanza situazionale, tanto da misurare la modalità di lettura in un
equilibrio di ineluttabilità e circostanza, palesate in effetti prodromici che,
in ogni caso, dissipano la velatura costrittiva. Il meccanismo
così organato dà modo di accedere a un continuo giro di vite, in cui confluiscono
tanto i dati risaputi (e convenzionalizzati), che quelli potenziali, adattati secondo
una tecnica che, infine, ripiana le alterazioni procurate non già da un torbido
progetto di avvilimento, quanto dall’egemonica attrattiva dell’economia di
sintesi, della quale responsabile sembra essere l’impoverimento di una
collettività in conseguenza di un progressivo indebolimento linguistico. Su questa linea il romanzo pare avvalersi
di una struttura filo-scientifica giacché: «Se un libro che leggiamo non
ci sveglia con un pugno sul cranio, a che serve leggerlo?»[5].
Si
accede così a un macro-mosaico di parole quali vere e proprie molteplicità problematizzanti in una forma austera che
si appella alla corrispondenza tra antico e moderno all’interno di un frammento
di ricordi dai contenuti precisi, dalle cui sonorità quasi solo accennate l’articolazione
narrativa apre agli accadimenti con un lessico autorevole, autentico, maieutico, in grado di scavare nelle
segrete stanze che risorgono nelle trame esteriorizzate delle intenzioni. Una storia molteplice, come già scritto, e
che, pur raccontata al passato, pare emendare un’attualità complessificante e
tutt’altro che congestionata; che avvicina e distanzia, a un tempo, con movenze
perfettamente equilibrate. Ed è all’insegna dell’innocente
inconsapevolezza la conferma alla definizione attribuita dall’autore al
protagonista principale – Stefan Bauer – eroe
sensibile alla prospettiva di una risoluzione finale dal tratto edenico,
benevolo (incosciente di quella antitetica Endlösung
– la soluzione finale hitleriana) alla maniera di Giuseppe in Egitto.
«Quando, due
estati fa, leggevo Joseph in Ägypten sul
balconcino dell’appartamento che avevamo in affitto a Padova, non avrei mai
immaginato di dover presto attingere le stesse mete delle perigliose
peregrinazioni del protagonista.» [6]
Ma
la letteratura è un inganno se pensata come solutoria nel sogno-aspirazione,
all’insegna (e in conseguenza) del quale Stefan – giovane psichiatra coinvolto
nelle sue letture e nella ricerca (pericolosa in un periodo di persecuzione
razziale) sulle potenzialità oscene di una mente malata – resiste in una
particolarissima realtà evocativa come una panoplia collettanea di tante parti
(psichiatra a Leopoli, impiegato a Cinecittà, compagno con incarico alla sede
del Partito Comunista a Milano, incarcerato e pure accusato di tradimento).
Nella sua panoplia, Stefan si avvia verso la prospettiva della salvezza
propria, della sua famiglia e di tutta una collettività stordita e genuflessa
da un’incomprensibile umiliazione. Di
fatto, nelle sue tribolazioni Stefan incarna l’eroe del sogno che trova
nutrimento nei modelli percorribili della cultura che appaga la pura velleità
di conciliare la sua esistenza (fortemente instabile in un tempo
assolutamente destabilizzato) con il tragitto svolto da Joseph in Ägypten di Thomas Mann nell’illusione giovanile. Ma la realtà è grama e il tempo non è quello
auspicato dall’impegno intellettuale: sulla sciabola dell’orizzonte torna
fremente l’appartenenza ebraica a decretare il destino, sicché le parole
deviano verso i frantumi di un’umanità che, pur vitale, appare dissacrata,
sebbene non ancora impedita a sperare. In questo senso, le parole stravolgono e
travolgono; cadenzano le movenze degli scenari, ricomponendone schemi di
complessità radicali; favoriscono la ricomposizione netta del quadro storico,
attraverso corrispondenze intimizzate di personalità di diversa provenienza e
la cui presenza assume un valore particolare nella continua biforcazione: l’una
rigettata nello stolto non-vedere; l’altra disposta all’affaticante conquista
di un’identità all’interno di uno schema degenerativo plutocratico e
tecnocratico. In tutte le sue forme, il totalitarismo è figura pleocroica e
suasiva. Nessun tempo e nessun luogo ne sono immuni: tutti «[…] protagonisti sia pur appena larvate
speculazioni sul tema del sosia o del doppio qual era premeditato dall’ormai
classica dottrina nietzscheana dell’eterno ritorno […]»[7]. Tali parvenze possono essere almeno
smascherate nell’interpretazione maieutica di una condizione di eterno e
diffuso amore, che via via s’ingigantisce in inopinata ierofania, contendendo
agli spazi costantemente rigenerati di rivelarsi nel diaframma documentaristico
di modelli di reciprocità in sospensione del mal-animo: a loro Micheli si
affida per valorizzare l’esistenza tattile di un’irrefrenabile, umana
convergenza metonimica, inspiegabilmente defraudata della sua interezza.
Scavalcando la
crono-storia, Giancarlo Micheli sollecita a penetrare i vari luoghi di Stefan
per il tramite delle missive indirizzate al figlio Bruno e che Bruno legge in
una simultanea sceneggiatura di corrispondenza tassonomica tra le parti,
all’interno delle quali echeggia un fondamentale proposito: pensare al romanzo
non già come luogo di concludente inizio e fine, ma come metatesi crescente e
formativa, realizzata da più individualità in un’inclinazione meta-storica
tentacolare, dalla variegata e sofferta ricercatività, in grado di sostituire
alla fissità un montaggio complesso di tipo cinematografico in una ricombinazione
di non-separabilità. Il romanzo-montaggio va così a investire tanto la
molteplicità degli stili di conduzione scritturale – epistolare, naturalistica,
cerebrale, neo-realistica, positivista e immaginativa – che la molteplicità (e
moltiplicabilità proiettiva) dei linguaggi al di fuori di qualsiasi volume
monotetico e distrattivo. Nutrite e corpose, le tematiche si dipartono da un
unico punto luce, per proseguire senza rallentamenti lungo determinanti
deviazioni, implicando a un tempo i presenti individuali attraverso le rotte
della rappresentazione ambientale, che rifulge di stupore nella narrazione in
flashback e che, in una maniera particolare, disturba la linearità da una posizione diafasica, perturbabile e
che ben presto accarezza il lembo minimale di comprensione: «il progresso della
conoscenza non tollera rigidità» (S. Freud). Questi cenni non sarebbero
bastanti senza l’intervento diretto dei protagonisti tutti dell’intera trama,
organata secondo una tassonomia fluida, dirompente, mai evasiva; carica di tale
tensione che – nella metafora di una composizione priva di interruzioni –
squarcia l’oscurità e spalanca a una memoria generativa priva di cesure e
censura. Lascia, dunque, Micheli al lettore conscio la probabile e autocostruttiva
conciliazione di tutte le porosità in una prospettiva a largo respiro, che
giammai indugia su virtuosismo, né su anacoluti diversivi. Tutt’altro: l’autore
sottopone la traiettoria a repentini e significativi cambiamenti, riuscendo a
scavalcare la consuetudine per il tramite di una centralità continuamente
spostata e tendente ad evolversi in una nemesi incessante.
Carmen De Stasio
[1] G. Micheli, Romanzo per la mano sinistra, Manni, Lecce, 2017, Chi vuol vivere e star sano, dai parenti
stia lontano, p. 37.
[2] Ibi, La pena è zoppa, ma pure arriva, p. 86.
[3] Ibi, La saetta non cade in luoghi bassi, p. 595.
[4] Ibi, Bisogna fare di necessità virtù, p. 488.
[5] F. Kafka, lettera a Oskar Pollak, 1904.
[6] G. Micheli, op. cit., Amico di ventura, molto briga e poco dura,
p. 249.
[7] Ibi, La pena è zoppa, ma pure arriva, p. 90.
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