recensione di Giancarlo Micheli
a Atti dei convegni Lincei 292 - Attualità del pensiero di Antonio Gramsci (AAVV, Roma, Bardi,
2016)
pubblicata in “Rivista di Studi Italiani” (Anno XXXIV, n.3, dicembre 2016)
Il testo rende conto
all’oceanica maggioranza di quanti, qualsivoglia siano stati gli specifici
impedimenti di ciascuno che in potenza la componga, non poterono assistere al
convegno di studi, tenutosi nei giorni del 30 e 31 gennaio 2014 presso la sua
sede di palazzo Corsini, che l’Accademia dei Lincei volle dedicare
all’attualità del lascito cognitivo di Antonio Gramsci, esibendo purtroppo una
duplice lacuna relativa agli interventi pronunciati nella circostanza da Carlo
Ossola e Edoardo Vesentini. Non siamo in grado di lumeggiare al semplice
lettore curioso, né all’attento e filologicamente consapevole, i motivi di tali
espunzioni. Sul corpo storico in cui venne organandosi la società di dotti che,
durante il Ventennio, subì un rituale smembramento[1],
topico della congiuntura politica, la doppia mutilazione è armonicamente ripartita,
giacché l’esimio esegeta di Ungaretti avrebbe discusso di temi pertinenti[2]
alla Scuola di Scienze Morali, introdotta nella struttura del sodalizio in
forza dei decreti esecutivi di Quintino Sella[3],
laddove l’insigne matematico si sarebbe dedicato ad illustrare i rapporti del pensiero
del nativo di Ales con le scienze naturali, tema di ovvia competenza della
Scuola di Scienze Fisiche, la quale costituì l’unica sezione del benemerito
istituto dal 1603, anno della fondazione, fino al 1874. Il pregio indubbio che
ne fa consigliare caldamente la lettura è la ricca bibliografia che si può
ricavare dai tredici interventi superstiti, dai quali emerge la quasi unanime
occorrenza, per quel che riguarda i meriti teoretici riconosciuti all’autore
dei Quaderni del carcere,
dell’elaborazione del concetto di “rivoluzione passiva”[4],
strumento euristico particolarmente congeniale ai nostri tempi, in cui i
conflitti sociali sono globalmente amministrati tramite il dosaggio di vaghe cognizioni
e manifesto ottenebramento operato dall’industria delle comunicazioni di massa.
Il volume riuscirà dunque molto istruttivo a coloro che desiderino farsi
un’idea propria delle modalità attraverso le quali le forme del dominio
ideologico includono nelle proprie prassi e metodologie le personalità
intellettuali alle quali, nella residua autorevolezza del sapere scientifico
che caratterizza una civiltà ormai capillarmente estetizzata secondo gli scopi
del profitto capitalistico, sia consentita la ribalta della genialità entro i
ripetitivi palinsesti di una cultura umanistica che non esca dal circolo
vizioso di un’onnipotente disperazione. Così, chi sappia non lasciarsi
intimidire dalla cospicua mole di erudizioni specialistiche e ben vigilate
fraternità interdisciplinari, potrà far tesoro di un bel saggio di Giuseppe
Cacciatore sulla centralità in Gramsci del principio di “filologia vivente” e
sugli sviluppi del metodo dialettico che esso ha procurato nei lavori di Edward
Said[5],
volti alla paideia di una “filosofia
della prassi” che sia resa servibile alle esigenze di liberazione del presente,
quindi di una sagace interpretazione di Giuseppe Vacca delle peculiarità
antideterministiche del marxismo gramsciano, di una perspicua analisi di
Giorgio Lunghini[6], la
quale, infulcrata sui rapporti tra il recluso di Turi e Piero Sraffa, mette in
rilievo le acute intuizioni del primo pure sul terreno tecnico dell’economia
politica, nonché dei contributi di matrice storiografica proposti da Alberto
Burgio, Giuseppe Galasso e Giuseppe Ricuperati, particolarmente apprezzabile
quest’ultimo nel ricapitolare le varie fasi della ricezione dell’opera
gramsciana presso la comunità degli specialisti italiani. Dall’apporto di Guido
Liguori, e in minor misura oltre che secondo un taglio prettamente sociologico
da quello di Arnaldo Bagnasco, si apprenderà poi dell’eco che le riflessioni di
Gramsci abbiano avuta su scala planetaria: negli Stati Uniti soprattutto,
grazie alla International Gramsci Society, ma anche nel comparto dei subaltern studies, esemplati dalle
ricerche condotte in India dal gruppo di storici raccolti attorno a Ranajit
Guha. Un discorso a parte meriterebbero il testo di Roberto Antonelli, inteso
ad isolare gli aspetti “disinteressatamente” letterari dell’autore sardo, o
quello in cui Michele Ciliberto indaga gli atteggiamenti di lui verso la
tradizione del pensiero politico umanista (Machiavelli e “l’uomo del
Guicciardini”), o ancora la disamina, schizzata da Luciano Canfora, della
posizione gramsciana rispetto al parlamentarismo quale emerge dal confronto con
quelle di alcuni tra i politologi più significativi a cavallo tra Otto e
Novecento. Completano il volume un resoconto sullo stato della nuova edizione
critica affidata a Gianni Francioni[7]
ed una noterella del giurista Pietro Rescigno sull’esperienza del diritto come
si evince dagli scritti della celeberrima vittima del regime carcerario
fascista.
Qualora, dunque, sulle
graticole della moderna scienza borghese le braci della passione per la verità
non siano del tutto spente, soffocate da un estremo investimento postfordista, oggi
come ieri, potrà soffiare sul fuoco delle metamorfosi cognitive e fisiche –
necessarie per superare la preistoria dell’umanità e per far accedere, con
piena tutela di diritto, le donne e gli uomini di questo nostro “mondo grande e
terribile” in uno nuovo ed infine abitabile – soltanto chi, per dire con Walter
Benjamin, parli avendo alle proprie spalle il vento della Storia.
[1] L’Accademia dei Lincei venne commissariata dal regime nel
1933. In seguito alle Leggi razziali si procedette poi all’epurazione dei
membri ebrei. Infine, l’anno successivo, essa fu incorporata all’Accademia
d’Italia, dalle cui ceneri poté rinascere solo dopo la Liberazione.
[2] Il programma del convegno, riportato di seguito all’indice
del volume, menziona, a conclusione della prima giornata di studi, il titolo
dell’intervento di Carlo Ossola, Gramsci
e il teatro, il contenuto del quale però non compare nel testo stampato.
[3] Il Regno d’Italia provvide ad una rifondazione
dell’Accademia, la quale comportò, appunto, anche l’introduzione della Scuola
di Studi Morali.
[4]
«In effetti, il nesso tra “rivoluzione passiva” di Vincenzo Cuoco,
“rivoluzione-restaurazione del Quinet” e guicciardinismo appare già nel Quaderno 8,
quando Gramsci si chiede se questi concetti non possano essere utilizzali per
definire le “rivoluzioni dell'uomo del Guicciardini”: per esprimere “il fatto
storico dell'assenza di una iniziativa popolare unitaria nello svolgimento
della storia italiana e l'altro fatto che lo svolgimento si è verificato come reazione
delle classi dominanti al sovversivismo sporadico, elementare, disorganico
delle masse popolari con ‘restaurazioni’ che hanno accolto una qualche parte
delle esigenze dal basso, quindi ‘restaurazioni progressive’ o
‘rivoluzioni-restaurazioni’ o anche ‘rivoluzioni passive’”. Appunto: “rivoluzioni
dell'uomo del Guicciardini”, come quella di Cavour, il quale “avrebbe appunto ‘diplomatizzato’
la rivoluzione dell’‘Uomo del Guicciardini’”. Del resto, come specifica subito
dopo, Cavour stesso “si avvicinava come tipo al Guicciardini”». Michele
Ciliberto, Gramsci e Guicciardini. Per
una interpretazione “figurale” dei Quaderni del carcere, in Atti dei convegni
Lincei 292 - Attualità del pensiero di Antonio Gramsci, Roma, Bardi, 2016, p. 74. Oltre a Ciliberto, affrontano
l’argomento in maniera esplicita Burgio (Giudizi
analogici e comparatistica storica nei Quaderni del carcere, in Id., p. 78
e p. 93), Canfora (La riflessione
gramsciana sul parlamentarismo tra Otto e Novecento, in Id., p. 111-2 e p.
115), Vacca (Materialismo storico e
filosofia della praxis, in Id., p. 142-3), Antonelli (Antonio Gramsci: letteratura e vita nazionale, in Id., p. 157-8), Ricuperati
(Gramsci e gli storici, in Id., p.
174 e p. 190) e Bagnasco (Gramsci e la
sociologia, in Id., p. 237).
[5]
«La pratica umanistica insomma, scrive Said, è una “pratica di disturbo”.
L'umanista, per usare una formula gramsciana che studiava e analizzava lo stile
e il compito del grande intellettuale, “deve tuffarsi nella vita pratica” e
mantenere aperte le tensioni tra il piano estetico e il piano politico (soprattutto
quando questo è dominato da ideologie nazionalistico-identitarie), servendosi
del primo per mettere in discussione, riesaminare e resistere al secondo. Non
è dunque né una forzatura interpretativa né un “fuori luogo” ideologico, restar
convinti che si possa dare un significato e una funzione di critica
democratica alla filologia che resta, è bene non dimenticarlo, non solo metodo
e tecnica di lettura dei testi, ma anche e fondamentalmente un sapere
storico-prospettico.» Giuseppe Vacca, Materialismo storico e filosofia della
praxis, in Id., p. 55.
[6]
«Lo sviluppo delle forze produttive materiali è uno sviluppo
necessario e progressivo; tuttavia il tipo umano formato dallo sviluppo
capitalistico delle forze produttive è
la negazione di tutto quanto di grande, elevato e significativo è
stato prodotto finora dall'evoluzione dell'umanità. Questa connessione
inseparabilmente contraddittoria del progresso con una degradazione
dell'umanità, questo ottenere il progresso al prezzo di questa umiliazione, è
il nocciolo reale della hegeliana “tragedia nell'etico”.» Giorgio Lunghini, Gramsci
critico dell’economia politica, in Id., p. 217.
[7] Il piano dell’opera prevede una suddivisione in tre sezioni:
Scritti 1910-1926 (7
voll., il secondo dei quali è stato pubblicato nel 2007), Quaderni del carcere 1929-1935 (in
3 voll.: Quaderni di traduzioni , Quaderni miscellanei, Quaderni speciali, dei quali è stato
pubblicato il primo nel 2007), Epistolario 1906-1937 (9 voll., dei quali
sono stati pubblicati i primi due, rispettivamente nel 2009 e nel 2011).
L’editore è l’Istituto dell’Enciclopedia italiana.
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