una recensione di Luciano Albanese
a Romanzo per la mano sinistra (Manni, 2017) di Giancarlo Micheli
pubblicata in Sulla letteratura (On literature) (maggio 2018)
Romanzo
per la mano sinistra (Manni 2017), di Giancarlo Micheli,
consta di 102 capitoli per complessive 635 pagine. Si tratta di un lavoro molto
accurato e molto impegnativo, che emerge prepotentemente dal panorama
letterario più recente. Racconta, attraverso le lettere di Stefan al figlio
Bruno, le vicissitudini di una famiglia ebraica, Adele (chiamata
alternativamente col diminutivo Ada) Stefan e Bruno, in un periodo che va
dall’annessione dell’Austria alla Germania nazista alla fine del ‘secolo
breve’. Lo sfondo delle vicende dei protagonisti è costituito da una folta
galleria di personaggi storici, che acquistano una solida autonomia compositiva
– a tratti persino preponderante – e costituiscono una sorta di romanzo
parallelo rispetto al filo principale della narrazione. Sfilano così davanti a
noi Hitler, Mussolini, Freud, Concetto Marchesi, Marie Bonaparte, Ciano,
Luchino Visconti, Alicata, Valerio Borghese, Mario Capanna, Feltrinelli, Asor
Rosa, Pasolini, insieme ad altri personaggi indirettamente collegati alle
vicende principali, come ad esempio Enrico Fermi e gli scienziati di Los
Alamos. In effetti una buona metà del romanzo è occupata da questa galleria di
personaggi, di cui Micheli, grazie ad un paziente lavoro storiografico,
ricostruisce, in uno stile ‘tucidideo’, le conversazioni intercorse. Al punto
che potrebbe sorgere il dubbio se il vero sfondo dell’opera siano piuttosto le
storie di Stefan, Adele e Bruno, che da questa ottica funzionerebbero da
elemento di raccordo.
In realtà i due piani
del romanzo si intersecano continuamente, perché i personaggi storici in questione
sono, più spesso direttamente che indirettamente, la causa prima dell’odissea
dei protagonisti, e quindi della loro tragica fine. Anche una ricostruzione
sommaria delle loro vicende – che non credo inutile – è in grado di mostrare
quanto e fino a che punto essi abbiano dovuto subire l’iniziativa di chi aveva
in mano le leve effettive del potere.
Adele, una storica
dell’arte, e Stefan, uno psicanalista, vivono e lavorano felicemente a Vienna
insieme al neonato Bruno, quando l’annessione dell’Austria alla Germania
nazista li costringe a fuggire in Italia, la patria di Adele. Lì tuttavia nuove
difficoltà sorgono in seguito alla promulgazione delle leggi razziali. Dopo una
inutile supplica allo stesso Mussolini, i due chiedono consiglio sul da farsi
sia a Freud, che, vicino alla morte, li indirizza a Parigi, presso la sua
allieva Marie Bonaparte, sia a Concetto Marchesi, che li indirizza verso
l’Urss, apparente fucina di un futuro migliore. Decidono per la seconda
soluzione, e giungono a Leopoli. Lì Stefan viene contattato dall’NKVD, che lo
arruola fra i suoi agenti. Dopo il patto Molotov-Ribbentrop e la spartizione
della Polonia, i due ritengono più sicuro trasferirsi a Cracovia sotto la
protezione della contessa Lanckorońska. Ma Stefan viene intercettato da
ufficiali della Wehrmacht che stanno complottando contro Hitler e intendono
servirsi di lui come diagnostico della psicopatologia hitleriana (oggetto della
sua tesi dottorale). La congiura fallisce sul nascere, e Stefan viene costretto
dai congiurati, per mantenere la sua copertura, ad arruolarsi nelle SS come
medico psichiatra. Nel frattempo Ada, ritenendo che della scomparsa di Stefan
sia responsabile la contessa Lanckorońska, fugge con Bruno e, mezza assiderata,
trova rifugio e momentanea pace nel monastero di Bielany. Tuttavia una improvvisa
retata delle SS condurrà Adele e Bruno di fronte al Gruppenführer Heydrich, che
invaghito di Adele le prometterà salvezza in cambio di amore.
A Parigi Stefan, nella
improbabile veste di ufficiale delle SS, fa la conoscenza di Marie Bonaparte
che, praticamente prigioniera nella città occupata, promette a Stefan di
occuparsi della sorte di Adele e Bruno, di cui Stefan non ha più notizie, in
cambio di un permesso di estradizione che le permetta di raggiungere, insieme
al marito, il figlio Pierre in Grecia. Tornato in Polonia, Stefan ritrova
miracolosamente Adele insieme al Gruppenführer Heydrich in un ritrovo nazista
di malaffare. I due riescono a isolarsi, ad amarsi fugacemente dopo tanto
tempo, e a progettare una fuga. La fuga riesce, e aggregatisi fortunosamente a
una troupe cinematografica tedesca varcano il Brennero e giungono fino a Roma.
Lì Stefan, richiesta la cittadinanza italiana per sé e la famiglia, entra in
contatto con Galeazzo Ciano, che conoscendo i suoi trascorsi lo nomina prima
agente segreto ad Alessandria col compito di spiare i movimenti inglesi (lì
avrà interessanti discussioni su Sabbatai Zevi – una figura che gli sembra
particolarmente congeniale – col rabbino della città) e successivamente
segretario di produzione cinematografica col compito di spiare i cineasti
comunisti che lavoravano a Cinecittà. In tale veste Stefan fa la conoscenza di
Visconti e Alicata, che lavoravano insieme alla produzione di Ossessione, che uscirà nel 1943. Sorvolo
sulle varie e stimolanti digressioni, come il colloquio di Marie Bonaparte col
marito, il rapporto di De Chirico con Ciano (che solleva lo spinoso tema del
rapporto fra artisti e regime), il colloquio Ciano-Mussolini su Cinecittà (che
adombra l’ambivalente rapporto del cinema italiano col fascismo), per passare
alla nuova metamorfosi di Stefan come membro della Resistenza insieme ai
cineasti che ha conosciuto, ad Amendola, al ritrovato Concetto Marchesi, ecc.
I rapporti col Pci non
sono semplici, perché Stefan è insofferente delle direttive che tramite
Togliatti arrivano da Mosca. Prende spesso iniziative personali, ed è
ossessionato dall’idea di rivedere Adele e Bruno, che erano rimasti a Firenze
(anche per via di forti dissapori insorti fra Ada e Stefan). Ma giunto a
Firenze non trova più nessuno: Ada si era trasferita a Roma per riprendere i
contatti con la madre Ester (con la quale avrà un importante colloquio, di cui
parlerò più avanti). Di lì erano partite per Napoli, ritenuta una città più
sicura, ma a un posto di blocco tedesco erano state arrestate e spedite in
Germania. Nel corso del viaggio avevano attraversato Padova, in tempo perché
Stefan, che non le aveva più trovate neanche a Roma, e ora si trovava nella
stessa città in compagnia di Marchesi, potesse scorgerle all’interno di un camion
militare tedesco e cadere preda della disperazione. La madre di Ada, Ester,
troverà subito la morte a Birkenau, mentre il viaggio di Adele e Bruno avrà
come meta finale il campo femminile di Ravensbrück. Lì Adele tenterà fino
all’ultimo di assicurare la vita a sé e soprattutto a Bruno in una serie di
scene strazianti, ma alla fine riuscirà solo a vedere la salvezza di Bruno –
dovuta a un intervento di Marie Bonaparte presso la Croce Rossa Internazionale
e il Regno di Svezia – mentre viene separata da lui e trascinata verso una
morte orribile.
Profondamente
preoccupato della sorte di Ada e Bruno, Stefan commette errori su errori.
Espulso dalla Resistenza e dal Pci, Stefan, venuto a sapere della prigionia di
Adele e Bruno a Ravensbrück grazie a una lettera di Bruno fortunosamente
recapitata, cercherà inutilmente di raggiungerli. Ferito gravemente durante uno
scontro con la X Mas e imprigionato, viene poi liberato, ma anche denunciato
dai suoi ex compagni come agente collaborazionista di Ciano e del regime. Tornato
nella nuova cella inizierà a scrivere le missive che, lette da Bruno,
costituiranno il tessuto narrativo del romanzo. Morirà rassicurato sulla
salvezza di Bruno, ma straziato dalla notizia della morte di Adele.
L’ultima parte del
romanzo vede Bruno, ormai grande, iniziare una vita autonoma, ma sulla sua vita
sembra gravare l’ombra delle disgrazie famigliari. Conosce una ragazza,
Ombretta, che lo mette in contatto col Pci. Iniziano insieme un rapporto di
convivenza e un lavoro politico che li vede attraversare il labirinto variegato
della sinistra, mentre si snodano gli eventi che vanno dalla rivolta di piazza
contro Tambroni al ’68, all’Autunno caldo e ai primi segni della nascita del
partito armato. Deluso dalla sinistra ufficiale, e venuto a conoscenza dei
particolari della morte della madre, Bruno progetta un attentato contro un
dirigente della IG Farben (la ditta che aveva costruito e fornito a Himmler
l’impianto con cui Adele e altre donne – selezionate come vittime sacrificali –
avevano trovato una morte orribile), che tuttavia fallisce. L’impotenza di
fronte alla storia e ai suoi eventi si palesa di nuovo, e a Bruno non resta che
affidare alla pagina scritta la memoria del dolore e dell’ingiustizia subita
dalla sua famiglia.
Il lavoro di Micheli è
stato definito da qualcuno un ‘romanzo storico’. Qui bisogna intendersi. Il
romanzo storico ottocentesco nasce in un’epoca in cui si pensava che la storia
avesse un senso, uno scopo, una direzione, e che tale direzione fosse sinonimo
di progresso sociale o morale, secondo i gusti. Ma l’opera di Micheli è pervasa
da un profondo scetticismo a tale riguardo, lo stesso che viene riversato su
Ada nel corso dell’importante colloquio romano con la madre Ester (pp. 370-72).
Mentre la seconda ha fede, ed è impegnata a costruire, per sé e per la comunità
ebraica, il ritorno nella terra dei padri, Ada ha raggiunto l’età della
ragione, e non vede più nella storia la manifestazione di un ordine
trascendente, ma solo una combinazione fortuita di eventi. Tale visione disincantata
si manifesta non solo nella sottile ironia ‘settecentesca’, e a tratti
‘gaddiana’, con cui sono costruiti i dialoghi fra i personaggi del romanzo, ma
soprattutto nel sostanziale fallimento dell’impegno e dell’azione politica di
Bruno, che costituisce l’alpha e l’omega del romanzo.
Da questo punto di
vista il lavoro di Micheli somiglia più al romanzo antico, ad esempio Le Etiopiche di Eliodoro, dove il
sottofondo neoplatonico impedisce di dare alle vicende terrene e alla storia il
sia pur minimo significato, e dove la salvezza dei protagonisti si deve solo
all’irruzione della trascendenza nel mondo sublunare. Non a caso Merkelbach,
nel famosissimo Romanzo e misteri,
vedeva nel romanzo antico una metafora delle iniziazioni, unica ancora di
salvezza individuale concessa al mondo greco-romano. Con la non marginale
differenza che nel lavoro di Micheli, l’abbiamo appena visto, ‘Dio è morto’, e
quindi tutte le vicende amorose – quella tra Stefan e Adele e quella tra Bruno
e Ombretta – finiscono male, avvicinando l’opera di Micheli più al Partenio di
Nicea degli Amori infelici che ad
Eliodoro.
L’opera che mi sembra
più vicina al romanzo di Micheli è il film Vivere!
del regista cinese Zhang Yimou, un apologo sulla capacità di sopravvivere alla storia delle persone
comuni. Il film, come è noto, racconta le vicende di una famiglia cinese nel
corso di innumerevoli cambiamenti politici, dalla caduta dell’Impero a Mao. I
protagonisti, il cui imperativo è vivere e sopravvivere, riescono a passare più
o meno indenni attraverso il fiume impetuoso degli eventi, dal quale non hanno
appreso altro se non che dalla storia è bene guardarsi e proteggersi. Qualcosa
del genere accade ai due protagonisti principali del romanzo di Micheli. Penso
soprattutto all’episodio in cui Adele e Stefan, che dopo varie peripezie ed
‘effetti ritardanti’ si ritrovano miracolosamente in una specie di bordello
nazista, l’una trasformata in prostituta per spirito di sopravvivenza e l’altro
in ufficiale medico delle SS. In una delle scene più belle e drammatiche del
romanzo i due riescono ad appartarsi nella toilette, e ad amarsi dopo una lunga
separazione. Ad una Adele disperata per la situazione in cui si trova, Stefan
dice: «dobbiamo vivere, perché finché siamo vivi ci resta una speranza» (p. 255).
Tuttavia quello che
separa Micheli da Eliodoro lo separa anche da Zhang Yimou. La tragica fine di
Adele ci ricorda che, come Dio, anche la speranza è morta, e l’avvicina alle
eroine dei romanzi di Sade, vittime innocenti all’alba di un’epoca senza luce,
in cui non già ‘il sonno della ragione’, ma la ragione stessa genera mostri,
procurando alle vittime il tormento supplementare – forse il più crudele dei
tormenti – della dimostrazione more
geometrico, da parte del carnefice, della necessità della loro morte.
In questo mondo di
tenebre non porta luce nemmeno il surrogato secolarizzato del sacro, il
comunismo (nel romanzo di Micheli i rappresentanti ufficiali della sinistra non
fanno una grande figura). Al fallimento dell’impegno politico di Bruno, passato
dal PCI alla lotta armata, dopo aver attraversato in successione le
innumerevoli frange della costellazione comunista, corrisponde il fallimento
politico di Stefan, allontanato dalla Resistenza da quegli stessi comunisti che
poi, venuto alla luce il suo passato collaborazionista, lo faranno marcire in
galera, dove morirà di dolore dopo aver saputo della tragica fine di Adele. A
ciò fanno puntualmente eco tutte le digressioni che vedono comunisti
collaborare di fatto col regime, e ex fascisti pronti a rivestire nuovi panni e
a servire nuovi padroni. Senza peraltro le giustificazioni di chi, ebreo come
Stefan e la sua famiglia, poteva solo scegliere tra collaborare e finire nei
forni crematori.
Da questo punto di
vista, un altro testo a cui il Romanzo
per la mano sinistra può essere avvicinato è La Storia di Elsa Morante. Anche nel romanzo della Morante la
storia si manifesta con l’ineluttabilità e la totale arbitrarietà del destino
cieco. Privata di uno scopo, come sapeva anche Hegel, la storia è il banco del macellaio
o un romanzo di Sade, dove la virtù è derisa e oltraggiata e il vizio premiato.
Micheli, come la sua Adele, è troppo onesto per credere alla filosofia della
storia, ma troppo combattivo per arrendersi e gettare la spugna. In assenza di
uno Scopo finale con la maiuscola, occorre ripiegare su ambizioni più limitate:
la feroce ironia che, come un acido che corrode la parola allo scopo di
corrodere la cosa, investe i protagonisti ufficiali della storia, è la spia di
una capacità di reazione di fronte alla pigrizia mentale, alla menzogna, alla
prepotenza e all’infamia che ancora ci circondano da ogni lato. E il messaggio
che trapela è: la storia potrà anche travolgerci, ma non abbasseremo mai la
testa di fronte ad essa.
Luciano Albanese