una recensione
di Francesco Macciò
al romanzo
Pâris Prassède (Monna Lisa edizioni, 2023) di Giancarlo Micheli
pubblicata
in Fissando in volto il gelo (marzo 2024)
Pâris
Prassède (Monna Lisa edizioni, 2023) è un’opera ponderosa, un
romanzo di oltre seicento pagine suddivise in 54 capitoli. La prosa ricorda quella
manzoniana, così calibrata e ricca di dettagli, ma certi passaggi, che talora si
addensano rallentando lo scorrimento narrativo, acquistano al cospetto di tanti
sciatti prodotti odierni una valenza sperimentale, che potrebbe suggerire
riferimenti a Gadda o allo stile “anticheggiante” di Gesualdo Bufalino. Questa
modalità di scrittura costituisce il grande pregio di Giancarlo Micheli e, allo
stesso tempo, anche il suo limite, nei confronti di un pubblico di lettori che l’industria
editoriale ha ormai addestrato a ricercare sempre e soltanto i prodotti più
semplici, ridotti alla misura di sceneggiature, che in non pochi casi lasciano
la sola soddisfazione di poterli abbandonare su un cassonetto dei rifiuti, perché
qualcuno possa servirsene. Se oggi viviamo dunque un tempo di totale distrazione,
di cui siamo un po’ tutti i testimoni, indotti dalle pratiche della comunicazione
di massa ad essere utenti di un linguaggio deprivato di ogni complessità, il
linguaggio di Micheli fa i conti con la nostra grande tradizione letteraria,
costruendosi in grappoli di strutture ipotattiche, col frequente ricorso anche alla
tecnica di ripresa che, dopo una lunga serie di subordinate, ritorna alla frase
principale per aiutare il lettore alla comprensione.
Il romanzo offre poi un’estensione
lessicale importante e veramente ammirevole, ma ci costringe anche a tenere un
vocabolario a portata di mano; e questo è un bene, perché invita a scoprire o a
riscoprire parole magari cadute in disuso, dotate però di una loro forza semantica,
nonché sonora, dove si coniuga il significante al significato, nell’intreccio
dei ritmi sui suoni e sul senso delle parole.
L’altro aspetto che emerge, quasi
ad apertura di pagina, è la rigorosa precisione storica, dovuta a un pregevole lavoro
di ricognizione, che affonda un po’ in tutte le tematiche dell’Ottocento,
soprattutto quelle sociali, dalla Comune a Marx e oltre, tutte analizzate sotto
molteplici aspetti e con rigorosa precisione.
Lo stile, in grado di intrecciare
la fiction con il continuo gioco con la storia, è connotato da una
peculiare ironia, tale che spesso, nella descrizione di un evento o di una
situazione, tralascia la via più semplice per eleggerne una più complessa e
quasi provocatoria, come, ad esempio, si può rilevare in questo passo tratto dal
capitolo V, Un incontro fortunato: «I moti popolari […] non produssero
esiti efficaci, eccetto l’avvicendamento a Charles X di Louis Philippe d’Orléans,
il re borghese che, alla sacertà del primo emionomastico, aveva copulato il
beffardo sarcasmo dell’appellativo connotante il secondo, sulle labbra della
patria intera, Égalité».
Uno stile, quello di Micheli,
degno di essere riconosciuto e valorizzato, in particolare per le venature
ironiche tese a uno straniamento che consenta al lettore di revocare in dubbio
le versioni ufficiali della Storia, soprattutto quelle di cui si è meno
disposti a riconoscerne i tratti ingannevoli o consolatori.
Francesco Macciò
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