lunedì 9 dicembre 2024

Nella storia – una riflessione allungata nel panorama di Esposizione dell’Amore

 Una recensione di Carmen De Stasio

al romanzo Esposizione dell’Amore (Campanotto, 2023)

pubblicata in Il Ponte (Anno LXXX, n.1, gennaio-febbraio 2024)


La narrazione s’infittisce negli eventi con un nitore che addensa l’ambiente, consegnando la sostanza del tempo narrato e del tempo descritto. Riprendiamo il filo, dunque, con una narrativa che mette insieme fatti di realtà con una costruzione del tutto immaginale. Con questo afflato, Giancarlo Micheli presenta al lettore il romanzo Esposizione dell’Amore e ancora una volta non manca di lavorare in simultaneità su tre piani proattivi, conseguendo risultati a dir poco di pienezza. Quali i piani a cui mi riferisco: la varietà di contesti storici non soltanto come mero sfondo agli accadimenti individuali di quel che riconosciamo come vero protagonista del romanzo, vale a dire il tempo compreso tra l’Esposizione Internazionale che nel 1889 rende Parigi cuore pulsante dell’ascesa creativo-industrializzata dell’occidente, e il tempo tormentato della guerra civile in Spagna nel 1936; la storicizzazione degli eventi correlati in quel frangente situazionale, insieme alla modalità di congiungerli in maniera congrua; non ultima, l’ambientazione attitudinale, mediante la quale alcuni dei personaggi colti in conversazione tra loro svelano impressioni rilevando in concordanza le proprie scelte. Il quarto e non meno importante cardine del romanzo – riprendendo il primo piano di riferimento ivi riportato – è il tempo dalle vicende legate al fermento tecnologico al tramonto del diciannovesimo secolo, fin nel cuore delle trame di un tempo nel suo ruolo di magistrale interlocutore.

Un compendio di narrazioni si intreccia a cogliere eventi indiscutibili insieme alle impressioni e alle realtà di ciascun protagonista, fermo restando che anche i luoghi raccolgano la testimonianza di quel che avviene, afferrandosi alla simultaneità di ciò che è di carattere sociale, politico e che vede la sua espressione confluire nella tematica dell’arte, laddove sembra coniugarsi il fervore di decisioni che sovvertono un temperamento votato al ristagno. E che cosa avviene, se non l’incastro di decisioni alla luce di decisioni politiche nella contrazione di come l’arte sia il baricentro di raccolta e di memoria e all’insegna della quale qualcosa va cambiando a un livello meta-topico, dove nulla ha luogo in casualità e non sfugge come ciascuna proposizione, ciascuna parola – che sia programmata interlocutoria, piuttosto che una semplice incisione – permetta di dilatare la concezione talora fustigata da brevità che il tempo in fuga proietta sulle menti impigrite da assente ricerca. Al contrario, si palesa fin dall’esordio la trama articolata di quello che mi sovviene definire romanzo di un tempo, romanzo di individuali presenze, alle quali si deve l’andare storico, avversando tanto la fuga dis-conoscitiva, che la marmorizzazione rispetto alla realtà dei fatti che induce a trattare i medesimi capitali eventi al pari di quadri appesi molto in alto su una parete e pertanto irraggiungibili. Giancarlo Micheli strappa la tela dalla parete e la accosta allo sguardo-mente nella consapevolezza di vivere un tempo altro nel bisogno di imprese e di eccellenza[1].

In altri termini, l’amore che anima la trama del libro si svolge per piani in convergenza e un invito richiama ad uscire dalla fissità prestata a manuali d’antologia, a una distaccata elencazione di date e di nomi e di tutto quanto ne sia contorno, per consentire, invece, una penetrazione che sia avanguardia del plausibile. Per far questo, la stesura non può che essere capillare, quanto coordinata per proposizioni esplicative, in un intento che riunisce sensibilità e prassi verbale in un agglomerato di forze, le stesse che rendono la simultanea soggettività-oggettività. Tanti e tutti equamente significativi, dunque, i personaggi in scena rimandano a situazioni, a scelte fuori scena, e che, nonostante il “fuori scena”, rimarcano l’impegno razionale in forma di accadimenti dal tenore etico, oltre che epico, mai disgiungendosi da una realtà proposta in un’integralità tesa a dar sostegno a un bisogno concreto di voltar pagina. Così non solo vediamo comparire in scena personaggi che nell’oggi sappiamo abbiano segnato la storia del progresso quali l’uomo d’affari Henri Menier, il politico Edouard André, il poeta surrealista – e amico di André Breton – Benjamin Péret, la cui figura è capitale nell’evolversi narrativo del romanzo per via del richiamo a personalità di magistrale formazione: tutti muovono la direzione degli eventi e il loro clima in un concatenarsi che esprime la pervicace pennellata su una tela (come evinciamo dall’incipit del Capitolo terzo) per riprendere le redini con i campi della conoscenza e ad essi rendere merito nella pienezza etica del rigore, quanto dell’equilibrio nel dosare la voce esteriore con una lucida comprensività di tesi intime in sinergia dentro-fuori e agendo al di fuori di qualsiasi metamorfismo.

Con Esposizione dell’Amore ci troviamo, dunque, alle prese con tutto quanto si rapprenda dalla realtà trattenendone il riconoscimento causale, oserei dire prospettico, quanto delineato come una sorta di rinnovabile mise en abyme di stampo surrealista (corrente che si presenta diffusamente nel libro quale luogo di immersione e di svolgimento) che dispone il tutto simultaneo, attendendo a una scientificità che sconvolge una definitività negligente, propendendo per una coloritura a campo vasto e rispondendo nella mediazione di un linguaggio rigoroso e coerente, nel quale risuona il segno rivoluzionario di un’identità storica da recuperare e da non dimenticare.

Nessun commento:

Posta un commento