una
recensione di Luciano Albanese al romanzo
Pâris Prassède (Monna Lisa edizioni, 2023, pp. 644)
pubblicata
in Sulla letteratura (On literature) (gennaio, 2024)
Il nuovo romanzo
di Giancarlo Micheli si apre con un lungo passo di ispirazione manzoniana, dove
le innumerevoli subordinate – che richiedono al lettore un’attenzione
supplementare per tenere ferma nella memoria la proposizione principale - sono
condite con una sottile vena di ironia certamente non estranea al Manzoni, ma
più vicina, come già in altri lavori, allo stile di Carlo Emilio Gadda. In
questo lungo passo di apertura incontriamo da subito il protagonista
dell’opera, Pâris Prassède, che rannicchiato nella coffa della goletta francese
Alecton, scruta distrattamente l’orizzonte mentre è immerso nei suoi pensieri.
Iniziano qui le avventure/ disavventure di Pâris Prassède, che, disceso
prontamente in plancia al richiamo del capitano, inciampa in una mostruosa
creatura marina appena pescata, calpestandola e rendendola inutile per una
auspicata e fruttuosa vendita agli scienziati. La sbadataggine di Pâris Prassède viene
ricompensata con numerose frustate, ma il rinvenimento di una creatura marina,
che ricorda quella di Ventimila leghe sotto i mari, consente una
digressione – la prima di tante – sulla vita della famiglia di Jules Verne e
più in generale sulla Parigi del XIX secolo, favorendo così la creazione dello
sfondo della prima rimarchevole impresa di Pâris Prassède, la
partecipazione alla rivolta della Comune.
Pâris Prassède, originario di Haiti, era
figlio dell’imperatore Faustin. Era stato lo stesso Faustin ad imporre il nome
di Pâris Prassède, un duplice omaggio sia al mitico Paride che alla prassi,
l’azione. ‘In principio era l’azione’, diceva anche il Faust di Goethe,
e come vedremo la figura di Pâris Prassède fa tutt’uno con le sue azioni. Dopo
alterne vicissitudini Pâris Prassède è venduto come schiavo e lavora in una
fattoria del Mississipi finché viene riscattato dalla madre e arruolato nella
marina francese, nelle cui fila compare appunto in apertura del romanzo. Ben
presto congedatosi torna ad Haiti, dove deve fare fronte a molte ostilità e
alla fine viene imprigionato per impedirgli di far valere la sua discendenza.
Successivamente, dopo la chiusura della prigione haitiana, è trasferito in
quella di Sainte-Pélagie a Parigi. Qui incontra Auguste Blanqui, legge
Proudhon, e hanno inizio i suoi contatti col movimento operaio europeo, in
particolare, inizialmente, coi gruppi clandestini della fazione blanquista. In
seguito conosce Paul Lafargue, il creolo originario di Cuba che sposerà Laura
Marx. Questo lo conduce a Londra, dove conosce la famiglia di Marx e lo stesso
Marx.
Largo spazio viene dedicato da Micheli
alla ricostruzione dei rapporti fra Marx, Lafargue e le figlie di Marx. Micheli
utilizza al meglio il carteggio Marx-Engels e i volumi della corrispondenza di
Marx (con Kugelmann e altri), oltre alle classiche biografie di Marx, riuscendo
a fornire un quadro storicamente preciso della vicenda, familiare e non, del
fondatore del marxismo. Emergono in primo piano soprattutto le avventure della
coppia Paul Lafargue-Laura Marx. Particolarmente importante, a tale proposito,
appare il cap. XIV, nel quale, durante una gita in barca, si svolge un serrato
dialogo fra Laura e Lafargue. È noto che Marx non amava Lafargue. Confluivano
in questo disamore gelosia di padre e sottostima della sua intelligenza (si
vedano, in questo senso, i cap. XXI e XXXV). Inoltre Marx lamentava il ritardo
cronico di Lafargue nell’abbracciare la professione di medico, che tra l’altro
avrebbe risollevato le sorti della famiglia. Paul Lafargue, invece, stimava
enormemente il suocero, e vedeva in Marx il suo idolo. Molto scettica appare
invece Laura, insofferente delle condizioni di povertà in cui viveva la
famiglia (dipendente mani e piedi da Engels per la propria sopravvivenza) e
preoccupata delle condizioni di salute del padre, che oltretutto pretendeva di
curarsi da solo. La valutazione dell’opera di Marx da parte di Laura è quanto
meno impietosa:
Quale
opera può uscire dall’Umanesimo il cui profeta non cura l’igiene personale, né
l’alimentazione e tantomeno la salute? [...] Un’opera malsana, piena di
costrizione e di sacrificio, una piaga in suppurazione, dal cui siero infetto
interpreti che non sapranno essere all’altezza dell’autore estrarranno i veleni
di future tirannie (p. 123).
Ma ancora più importante è forse il cap.
XVIII, che, tralasciando le emicranie di Laura costretta a correggere le ‘zampe
di gallina della grafia di Marx e dei suoi illeggibili manoscritti’ (p. 159),
si chiude citando le famose considerazioni finali del III libro del Capitale,
nelle quali sembra svanire l’identità delle tre classi (operai salariati,
capitalisti, proprietari fondiari, ovvero salario, profitto e rendita) su cui
sono costruiti sia Il Capitale che la teoria marxista della rivoluzione.
Infatti così come i proprietari fondiari potevano essere suddivisi in
altrettante classi, come possessori di vigneti, di terreni arabili, di foreste,
di miniere o di riserve di pesca; analogamente anche le classi residue potevano
subire la stessa sorte, come già l’avvento delle società per azioni lasciava
prevedere. Insomma, le classi di Marx erano reali, o erano solo
un’anticipazione dei ‘tipi ideali’ di Weber, ipotesi provvisorie per assegnare
un ordine fittizio a una realtà sociale assai più caotica per sua natura?
Al di là delle teorie, gli eventi
incalzano. I capitoli XXII-XXIX sono dedicati alla ricostruzione delle vicende
che portarono alla guerra franco-prussiana e quindi alla Comune di Parigi.
Anche in questo caso, Micheli riversa nelle pagine del romanzo il risultato di
ricerche storiche mirate su tutta la vicenda, partendo dalla situazione
spagnola e dal paventato insediamento di un Hohenzollern sul trono di Madrid.
Poi le polveri prendono fuoco, e mentre Gambetta sorvola la Francia in
mongolfiera, i prussiani stravincono, e solo l’intelligenza di Bismarck li
trattiene dall’invadere Parigi. Pâris Prassède, ancora legato ai blanquisti,
partecipa ai preparativi insurrezionali e poi lo vediamo dietro le barricate
mentre imbraccia il fucile e spara.
Ma la resistenza è inutile e la rivolta
volge alla fine. Messe da parte le rivalità davanti alla rivoluzione
proletaria, i prussiani hanno rilasciato i soldati francesi prigionieri per
mandarli a soffocare la Comune nel sangue, il che accade puntualmente: le
vittime accertate saranno 17.000 morti e 40.000 feriti. Pâris Prassède riesce
fortunosamente a fuggire, e lo ritroviamo a Londra (cap. XXXII), di nuovo
presso la famiglia Marx, introdotto stavolta dallo stesso Engels. In una di
queste occasioni Marx si preoccupa di esporre a Pâris Prassède, scampato
miracolosamente agli eccidi di Parigi, quella sorta di romanzo cosmologico che
è la Dialettica della natura di Engels, ma fortunatamente l’arrivo di
Jenny, la moglie di Marx – alla quale Pâris Prassède offre prontamente da bere
– interrompe lo sproloquio.
Ridisceso dai cieli della dialettica sulla
terra, nel cap. XXXV vediamo un Marx scettico sulla possibilità che la
rivoluzione prenda piede in Russia, e certo, invece, del suo scoppio in
America. Dopo la morte di Marx le cose si complicano. Il cap. XXXIX espone le
vicende della II Internazionale, e la difficile posizione di Eleanor Marx,
depositaria dell’eredità, sia intellettuale che morale, del padre, all’interno
di una Internazionale in completo disfacimento. Uno scenario diverso viene
offerto, nello stesso capitolo, dalle vicende di Gauguin a Tahiti e in
Polinesia. Il senso di questa lunga digressione potrebbe apparire poco chiaro,
ma, all’interno dell’economia del romanzo, esso assume l’aspetto di una
alternativa radicale alle vicende europee e alla loro supposta ‘centralità’
come ombelico del mondo e dell’umanità tutta. Dopo l’ammutinamento del Bounty,
Tahiti è sempre apparsa come il radicalmente altro, la distopia o utopia
fondamentale rispetto al modello di vita dell’Occidente, entro il quale, obtorto
collo, anche la sinistra proletaria è costretta a muoversi. Che anche il
protagonista del romanzo e il deuteragonista Paul Lafargue provengano,
rispettivamente da Haiti e da Cuba, da questo punto di vista non sembra più
casuale. La ‘triarchia’ Haiti, Cuba, Tahiti potrebbe risultare così
contrapposta (inopinatamente?) alla ‘triarchia europea’ di Moses Hess (la
principale fonte del giovane Marx), Francia, Inghilterra e Germania?
Torniamo ora a Pâris Prassède, che non
avendo le perplessità di Marx e possedendo forse il dono della preveggenza,
trova il modo di trasferirsi in Russia. Lì prende contatto coi movimenti
rivoluzionari e con lo stesso Lenin. Anche in questo caso la ricostruzione
storica dell’intera vicenda è molto precisa e puntuale, e mi dispiace di non
avere lo spazio per soffermarmi ulteriormente su questo aspetto non secondario
del romanzo, che stavolta può essere definito ‘storico’ senza esitazioni. Per
chi non è addentro alle cose ricordo che le opere di Lenin sono 45 volumi, e
Micheli sembra averli compulsati tutti.
Stringendo, passo ai capitoli finali del
libro, che esaminano i preparativi della ‘rivoluzione contro il Capitale,
come la chiamava Gramsci. Molti dei protagonisti, da Clara Zetkin a Trockij e a
Gelfand alias Parvus, oltre allo stesso Lenin in viaggio sul treno fornito dai
tedeschi, fanno da coro a Pâris Prassède, che anche se invecchiato, è deciso
egli stesso a trasformare la guerra imperialista, favorita dal tradimento della
II Internazionale, in guerra civile per la costruzione del socialismo. Pâris
Prassède considera la rivoluzione russa un riscatto non solo per i popoli di
colore, le cui atroci sofferenze sono compendiate nella lunga rievocazione
delle pp. 502-4, ma per l’umanità intera oppressa dalla barbarie capitalistica.
Poi la rivoluzione divampa. L’ultima
scena vede Pâris Prassède che, ancora una volta, imbraccia il fucile e spara.
Tutto andrà bene. Pâris Prassède vive!
Concludo con brevi e provvisorie
considerazioni critiche. Il romanzo di Micheli non è di facile lettura,
soprattutto perché le continue digressioni e ricostruzioni dei fatti
presupporrebbero una conoscenza più precisa degli eventi, che il grande
pubblico non possiede. Ma questo, più che un difetto (riscontrabile peraltro in
molti prodotti dello stesso genere, cominciando dai Promessi sposi), è
un pregio, che permette di salutare quest’opera come la resurrezione del
romanzo storico sul suolo italiano. La figura del protagonista del romanzo, Pâris
Prassède, può apparire solo abbozzata, ma in realtà è costruita dagli eventi a
cui partecipa, in particolare i due eventi della Comune di Parigi e della
Rivoluzione russa, in cui era stato fatto un eroico tentativo per l’uscita del
genere umano dallo stato di minorità e l’entrata in una nuova epoca. Come il
Qfwfq della Cosmicomiche di Italo Calvino, Pâris Prassède è onnipresente
ogni volta che i destini del genere umano sembrano a un punto di svolta. In
questo senso è anche un simbolo, una stella polare. Ma il fatto che appartenga
a un popolo di colore dice qualcosa di più. Forse la ‘nuova triarchia’ Haiti
Cuba Tahiti è il nuovo soggetto rivoluzionario?
Sono percepibili nel romanzo echi dell’Accumulazione del capitale di
Rosa Luxemburg o del Capitale monopolistico di Baran e Sweezy?
Nel lavoro di Micheli traspare un certo scetticismo – sicuramente giustificato
dalla situazione odierna, e che prende retrospettivamente corpo nella figura di
Laura Marx – sulla utilizzabilità delle teorie e delle analisi della tradizione
marxista. E tuttavia sembra sopravvivere il nocciolo duro di quelle dottrine,
che trae alimento dalla condizione ontologica dei viventi: la voglia e la
capacità di fare fronte insieme e di reagire, costi ciò che costi, alle offese
ricevute.
Luciano Albanese
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