domenica 7 aprile 2024

I conti con la tradizione letteraria

una recensione di Francesco Macciò

al romanzo Pâris Prassède (Monna Lisa edizioni, 2023) di Giancarlo Micheli

pubblicata in Fissando in volto il gelo (marzo 2024)

 

Pâris Prassède (Monna Lisa edizioni, 2023) è un’opera ponderosa, un romanzo di oltre seicento pagine suddivise in 54 capitoli. La prosa ricorda quella manzoniana, così calibrata e ricca di dettagli, ma certi passaggi, che talora si addensano rallentando lo scorrimento narrativo, acquistano al cospetto di tanti sciatti prodotti odierni una valenza sperimentale, che potrebbe suggerire riferimenti a Gadda o allo stile “anticheggiante” di Gesualdo Bufalino. Questa modalità di scrittura costituisce il grande pregio di Giancarlo Micheli e, allo stesso tempo, anche il suo limite, nei confronti di un pubblico di lettori che l’industria editoriale ha ormai addestrato a ricercare sempre e soltanto i prodotti più semplici, ridotti alla misura di sceneggiature, che in non pochi casi lasciano la sola soddisfazione di poterli abbandonare su un cassonetto dei rifiuti, perché qualcuno possa servirsene. Se oggi viviamo dunque un tempo di totale distrazione, di cui siamo un po’ tutti i testimoni, indotti dalle pratiche della comunicazione di massa ad essere utenti di un linguaggio deprivato di ogni complessità, il linguaggio di Micheli fa i conti con la nostra grande tradizione letteraria, costruendosi in grappoli di strutture ipotattiche, col frequente ricorso anche alla tecnica di ripresa che, dopo una lunga serie di subordinate, ritorna alla frase principale per aiutare il lettore alla comprensione.

Il romanzo offre poi un’estensione lessicale importante e veramente ammirevole, ma ci costringe anche a tenere un vocabolario a portata di mano; e questo è un bene, perché invita a scoprire o a riscoprire parole magari cadute in disuso, dotate però di una loro forza semantica, nonché sonora, dove si coniuga il significante al significato, nell’intreccio dei ritmi sui suoni e sul senso delle parole.

L’altro aspetto che emerge, quasi ad apertura di pagina, è la rigorosa precisione storica, dovuta a un pregevole lavoro di ricognizione, che affonda un po’ in tutte le tematiche dell’Ottocento, soprattutto quelle sociali, dalla Comune a Marx e oltre, tutte analizzate sotto molteplici aspetti e con rigorosa precisione.

Lo stile, in grado di intrecciare la fiction con il continuo gioco con la storia, è connotato da una peculiare ironia, tale che spesso, nella descrizione di un evento o di una situazione, tralascia la via più semplice per eleggerne una più complessa e quasi provocatoria, come, ad esempio, si può rilevare in questo passo tratto dal capitolo V, Un incontro fortunato: «I moti popolari […] non produssero esiti efficaci, eccetto l’avvicendamento a Charles X di Louis Philippe d’Orléans, il re borghese che, alla sacertà del primo emionomastico, aveva copulato il beffardo sarcasmo dell’appellativo connotante il secondo, sulle labbra della patria intera, Égalité».

Uno stile, quello di Micheli, degno di essere riconosciuto e valorizzato, in particolare per le venature ironiche tese a uno straniamento che consenta al lettore di revocare in dubbio le versioni ufficiali della Storia, soprattutto quelle di cui si è meno disposti a riconoscerne i tratti ingannevoli o consolatori.

Francesco Macciò


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sabato 10 febbraio 2024

Fare fronte insieme

una recensione di Luciano Albanese al romanzo

Pâris Prassède (Monna Lisa edizioni, 2023, pp. 644)

pubblicata in Sulla letteratura (On literature) (gennaio, 2024)

 

Il nuovo romanzo di Giancarlo Micheli si apre con un lungo passo di ispirazione manzoniana, dove le innumerevoli subordinate – che richiedono al lettore un’attenzione supplementare per tenere ferma nella memoria la proposizione principale - sono condite con una sottile vena di ironia certamente non estranea al Manzoni, ma più vicina, come già in altri lavori, allo stile di Carlo Emilio Gadda. In questo lungo passo di apertura incontriamo da subito il protagonista dell’opera, Pâris Prassède, che rannicchiato nella coffa della goletta francese Alecton, scruta distrattamente l’orizzonte mentre è immerso nei suoi pensieri. Iniziano qui le avventure/ disavventure di Pâris Prassède, che, disceso prontamente in plancia al richiamo del capitano, inciampa in una mostruosa creatura marina appena pescata, calpestandola e rendendola inutile per una auspicata e fruttuosa vendita agli scienziati. La sbadataggine di Pâris Prassède viene ricompensata con numerose frustate, ma il rinvenimento di una creatura marina, che ricorda quella di Ventimila leghe sotto i mari, consente una digressione – la prima di tante – sulla vita della famiglia di Jules Verne e più in generale sulla Parigi del XIX secolo, favorendo così la creazione dello sfondo della prima rimarchevole impresa di Pâris Prassède, la partecipazione alla rivolta della Comune.

Pâris Prassède, originario di Haiti, era figlio dell’imperatore Faustin. Era stato lo stesso Faustin ad imporre il nome di Pâris Prassède, un duplice omaggio sia al mitico Paride che alla prassi, l’azione. ‘In principio era l’azione’, diceva anche il Faust di Goethe, e come vedremo la figura di Pâris Prassède fa tutt’uno con le sue azioni. Dopo alterne vicissitudini Pâris Prassède è venduto come schiavo e lavora in una fattoria del Mississipi finché viene riscattato dalla madre e arruolato nella marina francese, nelle cui fila compare appunto in apertura del romanzo. Ben presto congedatosi torna ad Haiti, dove deve fare fronte a molte ostilità e alla fine viene imprigionato per impedirgli di far valere la sua discendenza. Successivamente, dopo la chiusura della prigione haitiana, è trasferito in quella di Sainte-Pélagie a Parigi. Qui incontra Auguste Blanqui, legge Proudhon, e hanno inizio i suoi contatti col movimento operaio europeo, in particolare, inizialmente, coi gruppi clandestini della fazione blanquista. In seguito conosce Paul Lafargue, il creolo originario di Cuba che sposerà Laura Marx. Questo lo conduce a Londra, dove conosce la famiglia di Marx e lo stesso Marx.

Largo spazio viene dedicato da Micheli alla ricostruzione dei rapporti fra Marx, Lafargue e le figlie di Marx. Micheli utilizza al meglio il carteggio Marx-Engels e i volumi della corrispondenza di Marx (con Kugelmann e altri), oltre alle classiche biografie di Marx, riuscendo a fornire un quadro storicamente preciso della vicenda, familiare e non, del fondatore del marxismo. Emergono in primo piano soprattutto le avventure della coppia Paul Lafargue-Laura Marx. Particolarmente importante, a tale proposito, appare il cap. XIV, nel quale, durante una gita in barca, si svolge un serrato dialogo fra Laura e Lafargue. È noto che Marx non amava Lafargue. Confluivano in questo disamore gelosia di padre e sottostima della sua intelligenza (si vedano, in questo senso, i cap. XXI e XXXV). Inoltre Marx lamentava il ritardo cronico di Lafargue nell’abbracciare la professione di medico, che tra l’altro avrebbe risollevato le sorti della famiglia. Paul Lafargue, invece, stimava enormemente il suocero, e vedeva in Marx il suo idolo. Molto scettica appare invece Laura, insofferente delle condizioni di povertà in cui viveva la famiglia (dipendente mani e piedi da Engels per la propria sopravvivenza) e preoccupata delle condizioni di salute del padre, che oltretutto pretendeva di curarsi da solo. La valutazione dell’opera di Marx da parte di Laura è quanto meno impietosa:

Quale opera può uscire dall’Umanesimo il cui profeta non cura l’igiene personale, né l’alimentazione e tantomeno la salute? [...] Un’opera malsana, piena di costrizione e di sacrificio, una piaga in suppurazione, dal cui siero infetto interpreti che non sapranno essere all’altezza dell’autore estrarranno i veleni di future tirannie (p. 123).

Ma ancora più importante è forse il cap. XVIII, che, tralasciando le emicranie di Laura costretta a correggere le ‘zampe di gallina della grafia di Marx e dei suoi illeggibili manoscritti’ (p. 159), si chiude citando le famose considerazioni finali del III libro del Capitale, nelle quali sembra svanire l’identità delle tre classi (operai salariati, capitalisti, proprietari fondiari, ovvero salario, profitto e rendita) su cui sono costruiti sia Il Capitale che la teoria marxista della rivoluzione. Infatti così come i proprietari fondiari potevano essere suddivisi in altrettante classi, come possessori di vigneti, di terreni arabili, di foreste, di miniere o di riserve di pesca; analogamente anche le classi residue potevano subire la stessa sorte, come già l’avvento delle società per azioni lasciava prevedere. Insomma, le classi di Marx erano reali, o erano solo un’anticipazione dei ‘tipi ideali’ di Weber, ipotesi provvisorie per assegnare un ordine fittizio a una realtà sociale assai più caotica per sua natura?

Al di là delle teorie, gli eventi incalzano. I capitoli XXII-XXIX sono dedicati alla ricostruzione delle vicende che portarono alla guerra franco-prussiana e quindi alla Comune di Parigi. Anche in questo caso, Micheli riversa nelle pagine del romanzo il risultato di ricerche storiche mirate su tutta la vicenda, partendo dalla situazione spagnola e dal paventato insediamento di un Hohenzollern sul trono di Madrid. Poi le polveri prendono fuoco, e mentre Gambetta sorvola la Francia in mongolfiera, i prussiani stravincono, e solo l’intelligenza di Bismarck li trattiene dall’invadere Parigi. Pâris Prassède, ancora legato ai blanquisti, partecipa ai preparativi insurrezionali e poi lo vediamo dietro le barricate mentre imbraccia il fucile e spara.

Ma la resistenza è inutile e la rivolta volge alla fine. Messe da parte le rivalità davanti alla rivoluzione proletaria, i prussiani hanno rilasciato i soldati francesi prigionieri per mandarli a soffocare la Comune nel sangue, il che accade puntualmente: le vittime accertate saranno 17.000 morti e 40.000 feriti. Pâris Prassède riesce fortunosamente a fuggire, e lo ritroviamo a Londra (cap. XXXII), di nuovo presso la famiglia Marx, introdotto stavolta dallo stesso Engels. In una di queste occasioni Marx si preoccupa di esporre a Pâris Prassède, scampato miracolosamente agli eccidi di Parigi, quella sorta di romanzo cosmologico che è la Dialettica della natura di Engels, ma fortunatamente l’arrivo di Jenny, la moglie di Marx – alla quale Pâris Prassède offre prontamente da bere – interrompe lo sproloquio.

Ridisceso dai cieli della dialettica sulla terra, nel cap. XXXV vediamo un Marx scettico sulla possibilità che la rivoluzione prenda piede in Russia, e certo, invece, del suo scoppio in America. Dopo la morte di Marx le cose si complicano. Il cap. XXXIX espone le vicende della II Internazionale, e la difficile posizione di Eleanor Marx, depositaria dell’eredità, sia intellettuale che morale, del padre, all’interno di una Internazionale in completo disfacimento. Uno scenario diverso viene offerto, nello stesso capitolo, dalle vicende di Gauguin a Tahiti e in Polinesia. Il senso di questa lunga digressione potrebbe apparire poco chiaro, ma, all’interno dell’economia del romanzo, esso assume l’aspetto di una alternativa radicale alle vicende europee e alla loro supposta ‘centralità’ come ombelico del mondo e dell’umanità tutta. Dopo l’ammutinamento del Bounty, Tahiti è sempre apparsa come il radicalmente altro, la distopia o utopia fondamentale rispetto al modello di vita dell’Occidente, entro il quale, obtorto collo, anche la sinistra proletaria è costretta a muoversi. Che anche il protagonista del romanzo e il deuteragonista Paul Lafargue provengano, rispettivamente da Haiti e da Cuba, da questo punto di vista non sembra più casuale. La ‘triarchia’ Haiti, Cuba, Tahiti potrebbe risultare così contrapposta (inopinatamente?) alla ‘triarchia europea’ di Moses Hess (la principale fonte del giovane Marx), Francia, Inghilterra e Germania?

Torniamo ora a Pâris Prassède, che non avendo le perplessità di Marx e possedendo forse il dono della preveggenza, trova il modo di trasferirsi in Russia. Lì prende contatto coi movimenti rivoluzionari e con lo stesso Lenin. Anche in questo caso la ricostruzione storica dell’intera vicenda è molto precisa e puntuale, e mi dispiace di non avere lo spazio per soffermarmi ulteriormente su questo aspetto non secondario del romanzo, che stavolta può essere definito ‘storico’ senza esitazioni. Per chi non è addentro alle cose ricordo che le opere di Lenin sono 45 volumi, e Micheli sembra averli compulsati tutti.

Stringendo, passo ai capitoli finali del libro, che esaminano i preparativi della ‘rivoluzione contro il Capitale, come la chiamava Gramsci. Molti dei protagonisti, da Clara Zetkin a Trockij e a Gelfand alias Parvus, oltre allo stesso Lenin in viaggio sul treno fornito dai tedeschi, fanno da coro a Pâris Prassède, che anche se invecchiato, è deciso egli stesso a trasformare la guerra imperialista, favorita dal tradimento della II Internazionale, in guerra civile per la costruzione del socialismo. Pâris Prassède considera la rivoluzione russa un riscatto non solo per i popoli di colore, le cui atroci sofferenze sono compendiate nella lunga rievocazione delle pp. 502-4, ma per l’umanità intera oppressa dalla barbarie capitalistica. Poi la rivoluzione divampa.  L’ultima scena vede Pâris Prassède che, ancora una volta, imbraccia il fucile e spara. Tutto andrà bene. Pâris Prassède vive!

Concludo con brevi e provvisorie considerazioni critiche. Il romanzo di Micheli non è di facile lettura, soprattutto perché le continue digressioni e ricostruzioni dei fatti presupporrebbero una conoscenza più precisa degli eventi, che il grande pubblico non possiede. Ma questo, più che un difetto (riscontrabile peraltro in molti prodotti dello stesso genere, cominciando dai Promessi sposi), è un pregio, che permette di salutare quest’opera come la resurrezione del romanzo storico sul suolo italiano. La figura del protagonista del romanzo, Pâris Prassède, può apparire solo abbozzata, ma in realtà è costruita dagli eventi a cui partecipa, in particolare i due eventi della Comune di Parigi e della Rivoluzione russa, in cui era stato fatto un eroico tentativo per l’uscita del genere umano dallo stato di minorità e l’entrata in una nuova epoca. Come il Qfwfq della Cosmicomiche di Italo Calvino, Pâris Prassède è onnipresente ogni volta che i destini del genere umano sembrano a un punto di svolta. In questo senso è anche un simbolo, una stella polare. Ma il fatto che appartenga a un popolo di colore dice qualcosa di più. Forse la ‘nuova triarchia’ Haiti Cuba Tahiti è il nuovo soggetto rivoluzionario?  Sono percepibili nel romanzo echi dell’Accumulazione del capitale di Rosa Luxemburg o del Capitale monopolistico di Baran e Sweezy? Nel lavoro di Micheli traspare un certo scetticismo – sicuramente giustificato dalla situazione odierna, e che prende retrospettivamente corpo nella figura di Laura Marx – sulla utilizzabilità delle teorie e delle analisi della tradizione marxista. E tuttavia sembra sopravvivere il nocciolo duro di quelle dottrine, che trae alimento dalla condizione ontologica dei viventi: la voglia e la capacità di fare fronte insieme e di reagire, costi ciò che costi, alle offese ricevute.

Luciano Albanese


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Il romanzo con molteplici relazioni culturali

una recensione di Enzo Santese al romanzo

Esposizione dell’Amore (Campanotto, 2023)

pubblicata sulla rivista Amicando semper (n.61, febbraio 2024)


Il romanzo Esposizione dell’amore (Campanotto, Pasian di Prato/Udine) è indubbiamente un esempio di come la puntualità saggistica possa innestarsi perfettamente nel flusso fantastico di una tessitura narrativa dai molteplici riflessi strutturali, con la capacità di caratterizzare un’opera rilevante per la coesione degli elementi costitutivi in un complesso unitario. Giancarlo Micheli gioca su una piattaforma culturale, che gli appartiene a pieno, e che attraversa la letteratura, la storia, l’arte in un intreccio che l’autore sa districare con l’autorevolezza di chi utilizza episodi come quinte teatrali di una rappresentazione che nasce su un repertorio immaginifico, utile ad ipotizzare orizzonti verisimili in una narrazione tesa tra due polarità temporali, l’esposizione internazionale di Parigi del 1889 e l’inizio della guerra spagnola nel 1936. È uno spazio di meno di cinquant’anni, ma nella densità della trama impastata con gli eventi reali diventa materia pulsante per lo scrittore che la svolge e la dipana come una pellicola, pensata per un’analisi profonda delle dinamiche interne all’individuo e alla società di riferimento. Il tema – come recita esplicitamente il titolo – è l’amore, vissuto negli ambienti ovattati di una borghesia francese che non ha dimenticato le modalità espressive della nobiltà. E allora Micheli scolpisce gli “attori” come autentiche presenze alla sua maniera, che è vicina al lavoro miniaturistico, data la cura ad evidenziare il dettaglio apparentemente insignificante o, comunque, secondario rispetto allo sviluppo della narrazione. In un periodo come questo che registra molti cultori della poesia virata verso la prosa, Micheli si segnala sempre per un tipo d’espressione che non lesina al racconto la misura della poesia, anche con guizzi improvvisi verso un’accensione del tono per poi modularlo secondo le esigenze rappresentative del mondo che l’autore inventa a immagine e somiglianza di quello vero.                                                               

I personaggi mai sono il risultato di una trovata casuale, anzi rispondono tutti a una precisa esigenza, davvero sentita da Giancarlo Micheli, di farli uscire dalla bidimensionalità della pagina e proporli in movimento su uno scenario credibile della storia. È quanto avviene per Édouard André, uomo d’affari tra i più in vista del periodo bonapartista, che nel romanzo emerge nella sua dimensione privata, quella che contrasta con la sua figura pubblica, di uomo impegnato a racimolare dando sempre, apparentemente, il privilegio al denaro. La moglie poi, Nélie Jacquemart, è ritrattista stimata soprattutto perché figura di spicco dell’alta società parigina. I due coniugi costituiscono un sodalizio affiatato anche sul piano delle scelte culturali, fatte in ispecie nell’ambito del collezionismo d’arte d’alto profilo, che consente loro di dar vita e corpo, nella quantità e nella qualità, a una poderosa mole di capolavori della pittura e scultura non solo contemporanea. Attorno a loro Giancarlo Micheli crea un vorticoso corteggio di presenze che formano uno straordinario “mosaico” antropologico e sociale, nel quale si segnalano differenze sostanziali anche tra appartenenti alla medesima classe, sollevando il velo dei lustrini tutti superficiali e mettendo così a nudo requisiti di pregio e tendenze di biasimo di una società più problematica di quello che mostra nelle sue manifestazioni esteriori. Tra tutti si sbalzano con plastica evidenza il nobile banchiere Edmond Rothschild, noto per le sue azioni filantropiche, il sociologo Gustave Le Bon, uno dei primi a studiare la psicologia delle folle, Paul Déroulède, uomo dal multiforme ingegno convogliato peraltro quasi esclusivamente nella politica di matrice revanscista. E poi entrano ed escono di scena con ritmo incalzante poeti di varia caratura, letterati di grido, imprenditori ambiziosi, esponenti dell’ala anarchica della politica del tempo. Le opere d’arte, allineate nel cosiddetto hôtel particulier di casa André, sono apprezzate da un vasto pubblico di estimatori. Tra questi si agitano pensatori e artisti che promossero l’azione rivoluzionaria del surrealismo. E qui comincia la seconda parte del libro, dominata dalla figura carismatica di Benjamin Péret, amico di André Breton, che fu l’anima di quel cumulo di sussulti civili, ideali e creativi del movimento che sconvolse le sicurezze fino ad allora acquisite, su un palcoscenico interdisciplinare, volto soprattutto alla letteratura, alla pittura e al cinema.

Giancarlo Micheli si muove con circospezione nella congerie dei suoi numerosi personaggi ma lo fa con la sicurezza che gli deriva da una conoscenza profonda e dettagliata di tempi, luoghi e persone impegnate nel teatro della vita quotidiana. E dando voce ai singoli con una caratterizzazione espressiva – questo è uno dei dati fondanti dello scrittore di qualità – che durante la lettura rende riconoscibili ognuno dei vari attori di questa commedia composita, dove storia e fantasia, lungi dall’elidersi a vicenda, si alimentano in un quadro sommosso di suggestioni.

Enzo Santese


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Una visione completa del mondo

una recensione di Pasqua Scotto al romanzo 

Pâris Prassède (Monna Lisa, 2023)

pubblicata in Literary.it (n.12/2023)

 

Paris Prassède è un libro interessante che tenta di offrire una visione completa del mondo, ricostruendo il passato per trovare un senso nel presente e dare vita ad un futuro più rispettoso della dignità dell'uomo e della sua vocazione a rapporti sociali fraterni.

Le vicende si svolgono in un lungo arco di tempo, dalla metà dell’Ottocento fino alla prima guerra mondiale e alla rivoluzione in Russia; vari anche i luoghi del Vecchio e del nuovo Mondo, ma il cuore pulsante è la Francia, con le sue innovazioni politiche e con un dibattito sull'evoluzione del pensiero e della risoluzione dei problemi economici che diventerà "il" dibattito internazionale della classe operaia.

In questo contesto si snoda la vita di Prassède, un nero, un escluso.

Costretto a spostarsi da un Paese all'altro, scopre errori ed orrori, diventa testimone dei tentativi di abbattimento del potere borghese e delle successive repressioni ma mantiene riserbo e sensibilità, dando prova di una grande progressiva maturazione.

Sono gli umili che capiscono il succo della storia (Renzo e Lucia)?

D'altro canto i personaggi non di invenzione, politici, filosofi, artisti realmente esistiti vengono descritti nel loro quotidiano e la loro umanità non diminuisce la loro grandezza ma rivela che le diverse fragilità non impediscono lo studio e la ricerca (il Socrate di Platone).

L'autore narra la storia in modo oggettivo, ma ogni tanto non rinuncia a intervenire: commenta, corregge, giudica anche in maniera ironica quello che succede. È un chiaro invito al lettore a rimanere vigile, a non lasciarsi affascinare dall’interesse per le vicende, ad essere sempre e comunque il protagonista della lettura (la Commedia greca).

Già, il lettore, che, in questo libro, è messo a dura prova.

La storia è bella, le suggestioni sono tante, ma la comprensione?

L'autore he scelto, volutamente, un'espressione difficile nel lessico, complessa nella sintassi e impegnativa a tutti i livelli.

La sua è una sorta di ribellione allo scadimento della scrittura e del linguaggio del nostro tempo. Sfida pertanto chi apre il libro a riappropriarsi della ricchezza perduta di forme e contenuti con fatica e particolare attenzione. Non riduce le difficoltà, non aiuta con note a margine.

Ma chi leggerà e capirà, crescerà senz’altro.

Pasqua Scotto


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Godard a chilometro zero

una recensione di Guido del Monte al romanzo 

Pâris Prassède (Monna Lisa, 2023)

pubblicata in Sanza-meta.com (gennaio 2024)

 

 Quanto è bravo Giancarlo Micheli!

La sua scrittura è una trivella di carotaggio capace di attraversare il mondo da parte a parte ritrovando i sedimenti più scomparsi della lingua italiana (di ciò che si può fare con la lingua italiana), i pensieri pensati coi corpi delle masse, delle donne, degli schiavi, dei coscritti, le lapidi dei poeti europei dimenticati o mai saputi ascoltare.. e altre cose ancora.

Inaccessibile autore (a me per primo), quasi impossibile da leggere a meno di accettare di nuotare in un mare denso e caldo come una purea di patate. Ammetto che per portare avanti un suo libro devo leggere ogni pagina come se da sola fosse un romanzo compiuto e già infinitamente grande. E come gli bestemmio contro di non aver riguardo per i miei tempi di lettura e di assimilazione di ciò che leggo.. e quanto questa sia solo una scusa per giustificare la banalità del mio presente.

Quando lo incontro per strada mi piace pensare che ho incontrato il mio Godard a chilometro zero.

Guido Del Monte


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Due note critiche brevi

due note critiche brevi al romanzo

Pâris Prassède (Monna Lisa edizioni, 2023)

pubblicate in Literary.it (n.12/2023)


La lettura del romanzo Pâris Prassède, impegnativa per la complessità dei periodi composti da numerose frasi incidentali, parole desuete e rare o appartenenti ad altre lingue, amplia la portata espressiva della narrazione. Il risultato in chi legge è una fascinazione per la storia e una continua sorpresa. Questa prosa mi ricorda Carmelo Bene, che credo facesse un’operazione simile all'interno del teatro. Ricorrendo all’alterazione della voce, alla mimica facciale e alla gestualità ma anche all'invenzione linguistica, ha rivoluzionato la recitazione e la drammaturgia. Così Micheli con questo suo modo forbito, ricco di significati linguistici, a volte armillari e matrioskeschi, amplifica la potenza emozionante del romanzo. Un’opera decisamente singolare nel panorama letterario planetario, per cui ringraziamo la sua architettura ciclopica, monumentale e potente.

Antonino Bove


Il romanzo Pâris Prassède è un viaggio da Haiti, alla Francia e alla Russia, affrontando tutti i grandi movimenti sociali e politici dalla metà dell'Ottocento per arrivare alla rivoluzione russa, all'inizio del ventesimo secolo. Grandi personaggi storici o di finzione. Romanzo attuale per il tema che sottende la trama: la lotta contro i pregiudizi razziali, rappresentata nel protagonista Pâris Prassède, nato in schiavitù, che cerca per tutta la vita di riscattarsi attraverso mille difficoltà e di diventare uomo libero e consapevole del suo proprio valore, in un mondo sempre più complicato e problematico. Romanzo, dunque, di un'attualità preoccupante e evidente.

Jaclyne Augeyrolle


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Intervista sul romanzo Pâris Prassède

 un'intervista a Giancarlo Micheli per Pubme_it

a proposito del romanzo 

Pâris Prassède (Monna Lisa edizioni, 2023)



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