recensione di Daniele Luti a
Romanzo per la mano sinistra (Manni, 2017)
di Giancarlo Micheli
pubblicata in “Il Grandevetro”
Il romanzo di Micheli
non è di facile catalogazione. Certo, a prima vista, potrebbe essere ascritto
al genere del romanzo storico di stretta osservanza manzoniana, visto che
l’acribia dell’autore nel rapportarsi ai documenti storici, alle fonti
ideologiche dei movimenti che caratterizzano il periodo da lui preso in
carattere, è quella di chi privilegia la storia rispetto all’invenzione. E,
poi, i caratteri del genere che ho richiamato ci sono tutti, in primo luogo
l’interazione dialogica tra i personaggi inventati dalla fantasia dell’autore e
quelli esistiti, che sono poi gli artefici del destino di milioni di uomini.
Inoltre, come scrive Giulio Ferroni nella sua nota critica in quarta di
copertina, il romanzo attraversa una «fase del Novecento, dalla seconda guerra
mondiale alle lotte degli anni Settanta, con un ritmo epico, che sovrappone
fiction e vicende reali». Ma la mia impressione è che questa grande storia,
questo affresco di un secolo che è brevissimo e lunghissimo, attraversato com’è
da bagliori fulminei, incendi di passione per il nuovo, e da incubazioni nella
mortificante e spregevole criminalità di regimi che annientano lo spirito e
l’intelligenza dell’uomo, contenga anche molto di più. Intanto, la
ricostruzione raffinata e documentata della cultura ebraica, vista nelle sue
molteplici ramificazioni, dalla mitteleuropa al meridione d’Italia, poi, la
sofisticata rappresentazione di tutte le reti esoteriche, le distorsioni
culturali, le febbricitanti e psicotiche immersioni in forme complesse di
pensiero pregiudiziale che si sono andate affermando nel mondo delle
contaminazioni che ha caratterizzato il nazismo, tengono lontano il lettore da
ogni velleità semplificativa, da ogni tentazione schematica. Insomma, di là
dalla forma romanzo, il testo di Micheli è una storia a molte entrate e a una
sola uscita. Lo scrittore non rinuncia mai al suo compito didattico,
rinunciando a essere l’Arianna del lettore e preferendo assumersi il compito di
Virgilio in questo viaggio attraverso le dimensioni infernali e purgatoriali
del nostro esistere. Un altro aspetto che mi preme sottolineare è il mezzo
attraverso il quale la storia si sviluppa, vale a dire la lingua. Lontano da
ogni compiacimento espressivo, da ogni ricerca dello stupefacente, nella
complessa (non complicata) scelta lessicale di Micheli, si può cogliere la
volontà, dopo la confusio linguarum di
questi anni di triste degrado e di approssimazione fonosimbolica, di
reinventare, per dirla con Eco, una lingua capace di esprimere la natura delle
cose attraverso una specie di innata omologia tra fatti e parole. Se la
letteratura fa bene alla ricchezza dei vocaboli, è anche vero che riprendere
termini caduti in disuso ma luminosi, recuperare le diverse modalità di
espressione, attraverso le quali la cultura ha potuto crescere in complessità e
in intelligenza comunicativa, produce effetti rivoluzionari nell’arte e in
quella vita che l’arte non riesce a mistificare. Storia, ideologia, verità
della vita, personalità e umili esistenze, passioni e speranze, assieme al
magistero della filologia, convivono in questo unicum che può essere
considerato davvero un potente antidoto contro il veleno della sciatteria e
della mortificazione del lettore.
Daniele Luti
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