saggio critico di Neil Novello
su Romanzo per la mano sinistra
(Manni, 2017) di Giancarlo Micheli
pubblicato in “Rivista di Studi Italiani” (Anno XXXV, n.1, aprile 2017)
A un luogo
(Vienna), a un anno (il 1937), a una famiglia ebrea (i Bauer), a un topos
(la fuga: da Vienna e dalla Storia), lo scrittore viareggino Giancarlo Micheli,
nella sua ultima opera narrativa, l'opera-mondo Romanzo per la mano sinistra
(Manni, 2017), affida il testimone di un racconto ancorato a un'epoca
storica del Novecento, l'apocalittica notte calata sull'Untergang des
Abendlandes, il crepuscolo occidentale da cui viene al mondo la tenebra
della follia nazista. Stefan e Ada (Adele) Ascarelli, genitori di Bruno Bauer,
come peraltro il plot nella parte iniziale del romanzo, vivono
entro un quadro di tramonto. Esso è incidentalmente proiettato
nella Cappella degli Scrovegni di Padova, visitata dalla coppia, e incarnato
nel Giudizio Universale di Giotto. I protagonisti vivono cioè una caduta di
matrice storica e riflesso autobiografico. Nondimeno essi dialogano sulla
prospettiva aurorale della loro inattesa e nuova vita italiana, anche della
vita, rivissuta nel dramma con redenzione di Gioacchino e Anna, genitori di
Maria tra i "quadri" della Cappella giottesca, che Adele porta in
grembo, Bruno.
Una tra le
grandezze di Micheli, già espressa nel parallelismo Gioacchino-Anna vs
Stefan-Adele, risiede proprio nell'accanita applicazione al Kunstwollen (per
inciso: Kunstwollen è un termine introdotto nella critica d'arte da
Alois Riegl, maestro di Hans Sedlmayr, a sua volta maestro, nella fictio romanzesca,
di Adele Ascarelli), un desiderio d'arte espresso nella costruzione del particolare
evocante o esprimente un'idea universale (di cui un riverbero è anche Apocalypsis
cum figuris di Dürer quale metatesto dell'apocalittica hitleriana). Qui già
si comprende, in nuce, la relazione tra la realtà romanzesca e il
modello culturale (Giotto, Dürer), anzi emerge con prepotenza che
quest'opera-mondo sia concepita dallo scrittore, almeno nella prima parte,
sulla dialettica tra il divenire del romanzesco ed exempla
culturali di significazione universale, una dialettica predestinante, o per
così dire destinale, concretata poi in sistema di riferimento tra i due
grandi mondi del romanzo: la storia di Stefan, Ada e Bruno e l'idea di
universale divenuta universale: lo scenario apocalittico della Storia.
Nella sua più
evidente presenza narrativa (la famiglia Bauer), Romanzo per la mano
sinistra si qualifica allora come un corpo (la famiglia, il loro ebraismo,
la loro erranza) vivente dentro a un altro corpo (la Storia). Essa però è
anzitutto esposta, per riemergere nel tempo del figlio Bruno, nei lacerti
epistolari scritti da Stefan Bauer, il padre. La
Storia si qualifica storica per l'appunto nella rilettura, a distanza di
anni, da parte di Bruno. Il momento epistolare del Romanzo, quando riguarda
la famiglia Bauer non è dunque la traccia scritta di un dialogo al presente (la
Storia che si fa storica), è anzitutto l'evocazione, da parte di Bruno,
di un mondo perduto rivissuto nel tempo reale del dopo-storia, perduto ma
rivissuto quindi nell'ingiallita pagina di missive paterne rimeditate dal
figlio alla luce di un'età nuova, un tempo fissato dallo scrittore in una tranche
de vie a Robbiano di Mediglia, alla periferia sud-est di Milano. Qui è
illuminata una scena a singolo attore, Bruno, l'erede della Storia, in attesa
di Heinrich Bütefisch, in tale caso, per Bruno, il simbolo della Storia,
destinato a subire un agguato, a morire di una morte violenta. La macchina del plot
si immette allora sulla via maestra di un tempo autre, una forma di
presente cui è affidata la nemesi storica simbolizzata nel proposito
sanguinario di Bruno contro Bütefisch. Ma questa tra il presente (lettura) e il
passato (tragedia ebraica dell'Olocausto) è una temporalità disastrata, non
lineare, se è vero che Micheli narra per quadri spazio-temporali ovvero il Romanzo
è concepito (come altri dello scrittore) seguendo le attrazioni di un
modulo, all'apparenza apparentabile al montaggio alternato (nella sua identità
letterale): il presente legge il passato perché il passato è scritto per
il presente. Un'alternanza in grado però di qualificarsi nella poesia (tragica)
di un montaggio per così dire parallelo: il romanziere non guarda alla storia
(né alla Storia) come a una sequenza vettoriale (dall'età di Stefan, alla fine
degli anni Trenta, all'età di Bruno, gli anni Sessanta-Settanta del Novecento),
la ricrea rileggendola - quasi inventando l'obtusus di una terza
dimensione del narrabile - nella forma temporale della simultaneità
simbolizzata.
Non
potrà dunque stupire il lettore che la Storia a ridosso della Seconda guerra
mondiale sia identificata con il nome e l'azione di Hitler (Anschluss,
Sudeti, Polonia e poi Norvegia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Francia etc.), e
che l'esercizio del potere nazista accentri la narrazione per convogliarla
dapprima nell'alveo della violenza bellica, in seguito nella persecuzione
ebraica. Nondimeno Romanzo per la mano sinistra, nel suo discorso
volutamente biopolitico spalanca il sipario destinale di vite
umane, Stefan e Adele, cavie di una scena della storia in cui la Storia inizia
a reagire come un acido corrosivo, una fiamma incenerente la stessa terra su
cui ogni uomo (ogni ebreo) vive la vita al tempo delle leggi razziali fasciste,
al tempo della tedesca Kristallnacht, al tempo della Shoah. Nella
filigrana del romanzo (su cui aleggiano le anime, critiche e inquiete, di
Thomas Mann e Sigmund Freud, dioscuri nella tenebra del mondo), la struttura
storiografica veicola e dunque esprime il romanzesco, al cui centro le vite di
Stefan e Adele sono sempre più risospinte verso il margine estremo di un
confine, la vita (residuale) nel passaggio alla deserta terra della non-vita.
Non
sorprenderà sapere, a tale riguardo, che Bruno, oltre a ereditare una parte
edulcorata (proprio perché in forma epistolare) della violenza altrimenti
sofferta dai genitori, è erede (e dunque testimone) proprio della temporalità terza
espressa da Romanzo per la mano sinistra, per l'appunto la narrazione per
lettere da parte del padre Stefan. Qui la storia della famiglia appare
incardinata alla storia degli ebrei italiani, a sua volta incorporata a una più
generale storia del (loro) dolore (dolore persino sognato da Bruno, nella
sperimentale prova della camera a gas, nel capitolo Amore fa amore, e
crudeltà fa tirannia), lettere che si incaricano, secondo moventi e
finalità diverse, di registrare, per un verso i capitoli di un'anabasi nel
tragico, per l'altro l'effetto del tragico sull'ultimo testimone generazionale:
Bruno e Bruno lettore. A due ideali cervelli o focali narrative bisogna allora
associare la voce cardinale del Romanzo, quella egemonica
del narratore e quella del personaggio-narratore epistolare Stefan, due
vocalità elette a esprimere la dorsale tragica contenuta nell'opera, la caduta
nella non-vita incarnata nei Bauer (Stefan, Adele e il neonato Bruno
nell'esilio di Leopoli) e la Storia vissuta come ente produttore di
inumanità (esemplata, in una tra le sue fisionomie, nelle lacrime della regista
tedesca Leni Riefenstahl, presente al massacro nazista di civili nella polacca
Gurlitz). L'esperienza di rivivere la storia di famiglia nel brogliaccio
epistolare del padre Stefan, per Bruno non figura però la scena di un regresso
evasivo-memoriale della mente, è o si traduce (e non solo per il proposito di
assassinare, tra realtà e simbolo, Bütefisch) in un progetto di fissazione
culturale, la concezione di un «racconto che fosse composto secondo lo spirito
della giustizia ed affidato alla buona volontà delle donne e degli uomini a
venire, e di cui tu, lettore, tieni adesso, tra le mani e la coscienza, il
possibile reperto»:
Se
un sentimento di riconoscenza era maturato in lui nei confronti della madre e
del padre - e lo era, in virtù della tenacia con cui entrambi avevano cercato
di non privarlo del conforto della loro presenza, fisica e spirituale, sebbene
le avversità fossero state loro ostacolo, infine, insuperabile -, allora Bruno
si sentì chiamato ad estinguere le scaturigini stesse del male che ai genitori
aveva dispensato sofferenze tanto atroci da sommergerli nel flutto dei senza
nome né storia; doveva strappare dalla terra dell'anima umana le radici
dell'odioso desiderio di morte e di declino, l'atavica e vergognosa sete di
sangue.
Non è la
vendetta del sangue a esorcizzare illusoriamente la Storia né però il libero
ricordo come masochistico innesco del dolore, neanche la catarsi dal male (per
attraversamento del male) esprime in Bruno il culturale desiderio di letteratura
vissuto come momento di guarigione personale. Il suo è invece il sogno dell'altro,
l'idea cioè di affidare alla letteratura (la memoria in desiderio di essere
trasformata in memoriale) il compito di eleggere sé come testimone del tragico,
testimone di futura memoria. Sé, ad esempio, come memoria vivente di un tratto
destinale, dalle Lebensunwertes Leben, il programma di eutanasia
nazista, l'eliminazione di vite indegne di essere vissute, all'apocalittico
"cammino" ebraico verso la Endlösung, la Soluzione Finale, sé
infine come testimone di quell'epica età in cui Stefan, Adele (con Bruno
bambino) lavorano per l'NKVD in azione di spionaggio, mentre la Wehrmacht già
cannoneggia Leopoli, la città ospitante quella particolare fase della loro
terribile erranza europea.
Il romanzo
appare così nella veste di possibile pretesto. Non per caso - e lo
scrive senza reticenza lo stesso Micheli - il romanzo è anche, o meglio è da
leggere come il «possibile reperto», la traccia di qualcosa di più grande, cioè
testimoniare, da parte di Bruno, tutto l'accaduto al mondo, rivisitando la
straziante avventura dei genitori nel fuoco della follia nazista. Nel Romanzo
per la mano sinistra, l'esibizione tecnica del montaggio alternato (anni
Trenta vs anni Sessanta-Settanta) si rigenera dunque in una forma parallela
(la poesia tragica di Bruno lettore delle lettere paterne), e tale germinazione
esprimerebbe, se possibile, una lingua-finesse propria alla struttura
romanzesca. Essa parla infatti la lingua dello straniamento - nello
specchio-lettere che ha davanti, Bruno non vede sé ma quel che è diventato -,
cioè si identifica come effetto di un contrappunto tra la più feroce tragedia
del Novecento (non solo la guerra, anche gli addentellati: l'eutanasia, i
Lager) e la sua eredità umana (Bruno), pertanto il romanzo proietta sul lettore
l'inquieta ombra del dialogo tra la Shoah e la rimeditazione maturata
nello slancio testimoniale di Bruno, sopravvissuto al tempo del dolore e della
morte.
Il diario
epistolare paterno, archetipo scritto della biografia di famiglia, costituisce
dunque l'asse portante di un lavoro testimoniale e persino euristico cui Bruno,
archeologo del sapere e archivista della propria autobiografia, va associando,
nella sua statutaria identità di testimone, altro e spurio materiale letterario
«proteso nell'intento di redigere una personale testimonianza» provvista di
«senso letterario», di «significato filosofico», insomma un brogliaccio di
«materiali eterogenei» composto persino di «diari di vittime e di carnefici
dell'olocausto», di «romanzi e saggi». L'idea del romanzo come pretesto,
ripensato come «possibile reperto» di uno sviluppo impensato, è tale perché
Bruno sa di avere nella mente e nel cuore l'organismo vivente, vissuto in parte
e in parte scritto, di una memoria unica, unica perché resa tale dalla sua presenza.
Bruno è dunque idealmente all'opera come un nuovo Raul Hilberg, l'edificatore
di quella strepitosa quanto angosciante opera che è Destruction of the European
Jews oppure, per altre vie, come quell'esemplare testimone, ma con la
macchina da presa a filmare la memoria dei sopravvissuti, che è stato Claude
Lanzmann in Shoah. Rileggere le lettere paterne non è però soltanto
l'atto di ricostruire ex post la propria autobiografia infantile (lo è
in parte, per l'interposizione paterna), è soprattutto l'atto di veicolarla nel
nome del padre Stefan e della madre Adele, alfine di ricordarsi (e ricordare)
la più terribile pagina del Novecento in un tempo - tra i Sessanta e i Settanta
- in cui non più la memoria è la teleologia ultima, ma qualcosa di più
catartico: la memoria (collettiva) della memoria (personale). Qui Romanzo
per la mano sinistra assume la cifra metaletteraria non già entro un quadro
di sterile sperimentalismo ma qualificandone la potenzialità come via pressoché
unica allo scopo di attualizzare la memoria riproponendo la verità sia
come storia della testimonianza (Stefan, Adele, Bruno) sia come testimonianza
della Storia (Bruno).
Testimoniare la
Storia è allora delineare la forma di una duplice catastrofe. Il suo profilo
esteriore, cioè la linea di contorno, è tratteggiata dal destino generale di
Stefan, Ada e Bruno negli anni della Seconda guerra mondiale, mentre il
territorio interno, da cui si sprigionano il terrore e l'orrore, emana invece
da presagi di scacco ferale, tra gli altri il ritorcersi su Stefan Bauer della
propria tesi di dottorato, Psicopatologia clinica della criminalità,
pietra di scandalo presso le gerarchie naziste, determinante - al tempo del poi
vanificato incontro tra Stefan e il Führer - allo scopo di chiarire proprio il
significato e il senso del lavoro sulla natura del nazismo, eventualità, questa
dell'incontro tra Stefan e Hitler, sfumata per ragioni di causa maggiore, tuttavia
paradossale inizio della complicità tra Stefan e il nazismo proprio nel campo
in cui più tragico è il tragico: la medicina psichiatrica, l'eugenetica. La caduta di Stefan nel Maëlstrom della bestiale
violenza nazista, - scrive Micheli - «costretto ad assecondare i loro
piani in forza del ricatto con cui essi si premunirono da eventuali deroghe o
defezioni: farne pagare ad Ada e a Bruno le conseguenze» (che pure le pagano,
vittime di una retata nazista, dapprima internati nel campo di detenzione di Ravensbrück,
dopo il fugace passaggio dalla nascente Auschwitz e un colloquio nientemeno che
con il capo della polizia nazista, Reinhard Heydrich), culmina laddove il
romanzo metamorfosa in una vera e propria narrazione della crudeltà. Il
narratore inaugura infatti un capitolo sull'«esperimento» archetipico delle
camere a gas in cui trova la morte un gruppo di minorati mentali, ebefrenici,
Down etc., sotto l'impressionato sguardo di Stefan, cui toccherà essere il
testimone diretto degli infernali protocollo e pratica dell'eutanasia, sebbene
ciò avvenga in «servizio ad un regime che odio con tutte le mie forze» -
confessa il padre di Bruno alla princesse Marie Bonaparte - «quelle
della ragione non meno che quelle del sentimento».
Non
diversamente terribile è la coatta liaison dangereuse di Ada, ebrea
napoletana di nobile censo, con il citato Heydrich, cinicamente ricattata dal
gerarca nazista in cambio della salvezza, finché in una scena di non comune
genio - di cui tutto il merito è dello scrittore - da introvabili l'uno per
l'altra (l'erranza ebraica è ora diventata coatta e al di là di ogni idea di
diaspora), Stefan e Ada, dopo essersi perduti si ritrovano a un crocevia di
destino. Lo studioso di psicanalisi è sopraffatto da
ragioni di lavoro (stavolta legate allo spionaggio) per incontrare Göring (non
Hermann, ma il cugino, primo gerarca della psichiatria nazista), Ada invece nel
disegno di blandire Heydrich per salvarsi la vita e salvare quella di Bruno.
Entrambi, Stefan e Ada, si ritrovano in un celebre locale, lo Haus Vaterland,
divenuto per gli amanti luogo della vita e luogo fatale se potranno proprio qui
concepire un'avventurosa fuga dalla Germania e riparare, per una seconda
occasione, in Italia con il soccorso inatteso dapprima ricevuto da Leni Riefensthal,
in seguito da Benito Mussolini e da Galeazzo Ciano, che poi candiderà Stefan
per infoltire la «rete spionistica» fascista in Nordafrica!
Se è formalmente
un romanzo storico, Romanzo per la mano sinistra è anche un'inchiesta
sull'ebraismo nella storia del Novecento, una storia novecentesca ripercorsa da
Micheli - con la nota categoria di Benjamin - contrappelo, poiché la
Storia non è soltanto un documento di cultura, è anche un documento di
barbarie, anzi il punto di vista della barbarie è tale se lo sguardo sul mondo
appartiene a chi tale barbarie incarna - figurando ora in Bruno come testimone
- nel proprio destino. Se dunque le vite di Stefan, Ada e Bruno bambino
costituiscono la filigrana principale della narrazione, la Storia, di cui la
famiglia Bauer è nient'altro che una tra le miriadi di appendici, opera per scrivere
la loro vicenda esistenziale. Quando Stefan lavora come spia ad Alessandria e
quando poi è impiegato come falso segretario di produzione per Ossessione di
Luchino Visconti, in realtà spia per conto del regime fascista (lentamente
penetrato nell'ambiente promiscuo e comunista di Ossessione!),
l'infiltrato non lavora alla crescita della macchina fascista, anche in questo
caso subisce la Storia ma come entità, prassi biopolitica. Maturare l'«idea di
odiare allo scopo di rendersi invurnerabile all'odio altrui», per Stefan, che
attraversa da ebreo colluso l'inferno nazi-fascista, incuneatosi ormai
nei gangli del mondo, significa fare di sé, e di tale orizzonte destinale,
l'anticorpo in grado di edificare un argine alla stessa possibilità di essere
divorato dallo status quo. Lontana ormai dal suo amato viennese,
riconciliata in parte con la madre Ester, Ada potrà donare un significato più
profondo e verosimile all'odio vissuto da Stefan, alla stregua di un sentimento
per così dire auto-immunizzante, se l'atto di «esplorare le macerie di questo
mondo per aprirvi una via di senso verso mete utopiche e favolose» (accusa di
Ada all'azione di Stefan) non sia icasticamente proprio l'inizio di una
auspicata fine del male, l'esperienza necessaria a salvarsi non
dall'apocalisse, ma nell'apocalisse trovare che le «macerie» sono necessarie
per ricostruire la vita, ad esempio, nella Resistenza.
Il declino e la
caduta del fascismo, il crepuscolo del nazismo, la presenza degli alleati in
Italia, l'alacre lavoro, negli Stati Uniti, per la costruzione della bomba
atomica identificano la scena di una svolta epocale, il passaggio in cui la
Storia, esaurendosi, metamorfosa in boccio memoriale. Il narratore che
neorealisticamente pedina Stefan Bauer gioca una partita diegetica su diverse
piattaforme narrative, tuttavia non rivela mai il dispositivo del
montaggio alternato - in questo, paragonabile a Grossman nella stupefacente
dodecafonia narrativa che è Vita e destino -, cioè non istituzionalizza
mai la stratificazione interna alla narrazione - avrebbe scritto
Ingarden nella sua Fenomenologia -, ma opera per generare, se così si
può dire, un effetto-romanzo di racconti.
Incardinata a
varî rivoli di narrazione, la storicità romanzesca di Stefan appare ambigua,
enigmatica come quella di un «angelo» onnisciente e insieme assente dal piano
della «Storia». Ubiquo e invisibile, Stefan si configura quasi come
sovrastorico esemplare di creatura dentro e fuori gli eventi
capitali del proprio tempo. Con l'anima dentro al viaggio, annunciato
mortale, di Ester (madre di Ada), Ada e Bruno (intravisti da Stefan a Padova,
in un camion militare tedesco), diretti dapprima ad Auschwitz e in un secondo
momento a Ravensbrück, e anche fuori, tra la caduta di Mussolini,
la nascita della Repubblica Sociale di Salò e il
sacro, inviolabile interesse collettivo degli avversatori di fascismo e
nazismo, perché esautorato dalla lotta resistenziale, ciò per aver anteposto
l'interesse personale, determinato dallo straziato desiderio di salvare
la famiglia organizzando un attentato con il rapimento di Karl Friedrich Wolff
(comandante delle SS in Italia), da utilizzare per un troppo fantasioso e
velleitario scambio.
A
questo ulisside della Seconda guerra mondiale, predestinato a un viaggio senza
ritorno nel chiuso del radikal Böse, il destino dona esattamente il suo
doppio negativo, la negazione di ogni destino ovvero l'idea di fuga
nell'imprevedibile, la preclusione di ogni rovesciamento di rotta, infine
inchiodata al modulo fisso del personaggio catabatico. Questa di Stefan è
allora una fuga dalla Storia e insieme l'impossibilità tecnica, aggredito e
dominato da un Es indomabile, demoniaco, dionisiaco, di costruire una storia,
sia pure essa quella dell'immaginaria scena di lui insieme ad Ada e Bruno
(nella vita di Stefan «quasi alba invisibile nel tramonto che gli allungava
l'ombra sui versanti delle rovine» scrive Micheli), cioè il ritratto che meglio
d'altri esprime la figurazione del sognatore cui va associandosi nientemeno che
il proposito velleitario, immediatamente stroncato dalla Realpolitik del
compagno Umberto Massola, di assassinare addirittura il Duce.
Il
folle rêveur di Romanzo per la mano sinistra, sognatore di una
storia personale pensata, in maniera irriflessa, come scenario di un'iniziativa
individuale difesa contro le più serie progettualità politiche (la Resistenza,
il lavoro antifascista del P.C.d'I, etc.), anarchico di un anarchismo reso
irrazionale dalla sinistra presenza di un pòthos che trascina l'anima a
imprese pazzesche e sovrumane, diviene il solitario viandante (ebreo errante di
un'erranza monomaniacale), il pellegrino posseduto proprio dal dèmone del sogno
sognato: andare a Ravensbrück, la città concentrazionaria delle donne, per
ricomporre - non si saprà mai come - l'infranto trinomio della famiglia Bauer.
Non si saprà, poiché Stefan (vittima, tra l'altro, anche del suo inguaribile
donchisciottismo) è catturato da un reparto della Decima Mas per essere trattenuto
in un campo di concentramento di Bolzano (alla liberazione, è smistato a Roma),
campo, questo bolzanino, in nulla paragonabile a Ravensbrück, luogo di lavoro a
oltranza e industriale mortalità, abbandonato da Ada e Bruno, salvi
all'apparenza per la fortunata intercessione di forze benefiche facenti capo a
Marie Bonaparte.
Narrare la storia dei Bauer dalla fine della guerra - alla luce di un
racconto diffuso nell'aperto - significa leggere Romanzo per la mano
sinistra anche come un'autobiografia memoriale non-finita. Morta la madre e
morto il padre, storie finalmente divorate dalla Storia, la
studiosa di pittura nel quadro dell'ultimissimo sussulto inumano di Himmler a
Wewelsburg (asfissiata in una camera a gas come racconta, anni più tardi, la
contessa Karolina Lanckorońoska, nel Romanzo figura di acme umanitaria),
lo psichiatra nel carcere di Regina Coeli, il racconto sembra aver esaurito il raccontabile
e la materia narrativa culminare e anzi adunarsi tutta nel testimone, o meglio
nell'erede di una testimonzianza di cui Romanzo per la mano sinistra si
incarica di raccogliere una memoria non ancora memorabile. Una memoria non
memorabile, e per questo in potenza di divenire memoria vivente, se Bruno
Bauer, ancorché orfano, non di Stefan e Ada, ma del danno della storia per
la vita, contro di essa scatena la propria volontà di pensiero. Pensare
cioè di rincontrarsi con il passato incidendo - almeno una volta soltanto, ma
che sia per sempre - sul corpo mobile del presente: quel che è accaduto. Il
corpo, si vuole dire, di un solo nemico, la realtà del destino storico e
personale su cui la nemesi dell'ideale officiante non è che la metonimia di un redde
rationem più universale, nel segreto dell'anima ferita desiderio desiderato
di una vertigine pari a tutto il dolore vissuto, il desiderio di scrivere (di
ricordare, di testimoniare) affidando così la memoria personale - dopo averla
rivissuta nella propria anima - a un prossimo in attesa di ereditarne il nome.
Neil
Novello
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