mercoledì 11 agosto 2010

La Révolution surréaliste (1924-1929)

articolo pubblicato sulla rivista
Zeta - rivista internazionale di poesia e ricerche (Anno XXXII, n.1; Campanotto editore 2010)






La Révolution surréaliste (1924-1929)
nuclei della positività creatrice nel tempo di incubazione della catastrofe


Il est plus facile de mourir que d’aimer/ C’est pourquoi je me donne le mal de vivre/ Mon amour
Louis Aragon


Chi abbia un poco di consuetudine con le riviste letterarie che si pubblicano oggi in Italia rimarrebbe confuso e sconcertato, qualora gli fosse fornita occasione di paragonarle alle esperienze di “militanza culturale” cui il movimento surrealista dette vita e corpo nel corso degli anni venti del secolo passato. Con rare eccezioni, prevale tra le odierne riviste del settore uno scoramento di tipo nostalgico-aventiniano, puntigliosamente procline a deprimere ogni impulso ad una acquisizione di responsabilità nei confronti del tempo in cui viviamo. Sicuramente ciò è imputabile ad un più vasto processo che sospinge l’attuale discorso letterario dentro l’unanime cul de sac della specializzazione dei saperi e delle conoscenze. Non sarebbe neanche troppo azzardato constatare una fascistizzazione operante in ciascuna branca del sapere, subita e assecondata da quanti, bruciati dalla miseria presente, sopravvivono adeguandosi agli scarsi privilegi che accordano loro le forme contemporanee del corporativismo culturale. Le grandi catastrofi umane del secolo trascorso furono rese possibili dallo sfruttamento su basi tecnico-scientifiche delle risorse repressive tradizionali: la struttura della famiglia patriarcale, il nazionalismo imperialista e un misticismo autoritario e strumentale. Oggigiorno l’evoluzione tecnologica, della quale non sarebbe onesto né attento negare gli indubbi benefici arrecati alle condizioni materiali dell’esistenza sebbene poi li distribuisca secondo i criteri di atavismi oppressivi e ingiusti, dota la dominazione capitalista degli strumenti propri ad un regime del controllo potenzialmente assoluto; e il terrore assoluto è la conseguenza in atto di ciò, sul piano degli effetti psicologici di massa, capillari e pervasivi.
La rivista La Révolution surréaliste incluse, nel numero di esordio andato alle stampe nel Dicembre del 1924, un’inchiesta che, per così dire, prendeva il terrore per le corna, dal titolo significativo ed esplicito: “le suicide est-il une solution?”. Fuor di retorica, si trattò di una chiamata all’appello, tramite la quale fu richiesta agli artisti, ai poeti e agli intellettuali che intendevano contribuire al progetto editoriale una presa di responsabilità totale, in integrità di corpo e di pensiero, coerente al principio di realtà e a quello del desiderio. Al quesito risposero, tra gli altri: André Breton, Jean Paulhan, che sarebbe presto divenuto il direttore della prestigiosa Nouvelle Revue Française¹, Antonin Artuad , René Crével. Già in questo sintetico elenco troviamo uomini che difesero fino alle conseguenze estreme l’impegno assunto allora. Di Artaud sono note le tragiche vicissitudini e la morte presso il sanatorio di Rodez, avvenuta quando ormai tutti gli incubi della bestiale violenza fascista e imperialista si erano catastroficamente avverati. Egli tornò spesso al tema del suicidio, ad esempio con l’illuminante saggio Van Gogh le suicidé de la société², scritto proprio nell’anno della morte. René Crével, d’altro canto, si tolse la vita nel 1935, in concomitanza con il Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura, tenutosi a Parigi e durante il quale fu decretata l’espulsione del movimento surrealista. Per comprendere quanti elementi sessuo-economicamente reazionari attecchissero nell’ideologia dei corifei letterari del capitalismo di stato sovietico, basterà citare le accuse che Ilya Ehrenburg mosse ai surrealisti nelle pagine del suo Visti da uno scrittore dell’URSS: “I surrealisti vogliono sì Hegel, Marx, la Rivoluzione, ma quello che rifiutano è di lavorare. Hanno le loro occupazioni. Studiano, per esempio, la pederastia e i sogni”. René Crével, omosessuale nonché membro del PCF fin dal 1927, trovò nei tristi episodi del congresso ragioni, certo supplementari ad altre profonde e personali, ma ad ogni modo sufficienti a spingerlo al suicidio. Questi furono solo alcuni dei tributi che il surrealismo dovette pagare a causa dell’intransigenza nella lotta intrapresa a favore del libero sviluppo delle istanze profonde dell’inconscio, fermamente antagonista ad ogni idea istituzionale di letteratura, recalcitrante ad ogni specie di compromesso con le fazioni dell’oscurantismo tradizionale e modernista, vuoi quelle coscienti e intenzionate vuoi quelle inconsapevoli e, pertanto, non meno nocive. A conferma di ciò, sul secondo numero della Révolution surréaliste apparvero alcune lettere aperte, rivolte ai rettori delle università europee, al papa, al Dalai Lama e alle scuole buddiste affinché le coscienze fossero invitate al profondo rivolgimento spirituale che la gravità dei tempi imponeva. La rivoluzione surrealista non si impantanava nel lamento e nel piagnisteo, al contrario muoveva all’attacco, con piena fiducia nella capacità di trasformazione del mondo e dell’uomo propria dell’azione poetica. Sebbene l’idea di Breton per cui la rivoluzione poetica e artistica dovesse pensarsi come parte e punta di lancia di un più generale movimento di liberazione morale, sociale ed economica, sebbene tale idea appaia nitida già al tempo del processo a Maurice Barrès (maggio 1921)³ con cui fu superata la fase dell’agnosticismo dadaista, la posizione del surrealismo nei confronti della lotta di classe internazionalista non fu portata a chiarimento prima della pubblicazione, sul quinto numero della rivista (Ottobre 1925), del testo collettivo La Révolution d’abord et toujours, tra i cui firmatari figurarono, oltre ai compagni della prima ora (Max Ernst, Louis Aragon, Paul Eluard, Robert Desnos e altri) anche i redattori della rivista politica Clarté, del periodico di filosofia marxista Philosophies e del foglio belga Correspondance. Accanto ad un’incontrovertibile condanna della guerra imperialista che i governi repubblicani e radicali della Terza Repubblica avevano intrapreso in Marocco, vi si può leggere l’esplicita affermazione: “… pour nous la France n’existe pas”. Senza contraddizioni, il surrealismo si poneva, dunque, nel solco della lotta internazionalista contro la dominazione del capitale e i nascenti regimi fascisti. Nel medesimo numero una recensione di André Breton al libro di Lev Trotsky su Lenin⁴, ribadiva la connaturata adesione del surrealismo all’ideale e alla prassi della rivoluzione permanente.
Le linee direttrici sulle cui basi si era avviata tale adesione non poterono svilupparsi altrimenti che in una faticosa convivenza all’interno delle fila del PCF, pedissequamente allineato alle direttive staliniste impartite da Mosca. Benché alcune personalità di rilievo del movimento surrealista (André Breton, Louis Aragon, René Crével) si fossero risolte ad iscriversi al partito di Place du Colonel-Fabien, i contenuti e le idee espresse nella rivista dovettero subire il severo vaglio di una commissione politica e Breton, in qualità di direttore responsabile, fu ripetutamente convocato a discuterle e a dare garanzia di lealtà alla politica del comitato centrale. Come Breton stesso ricorda nel libro-intervista Entretiens⁵, tali colloqui avvenivano “su invito personale, in un’ora assai mattutina, sia nel cortile della scuola della rue Duhesme, sia in una sala della casa dei sindacati, all’avenue Mathurin-Moreau”. Sulla modalità del loro svolgimento Breton si esprime in termini non equivoci, propri ad una cocente delusione: “… niente di più simile, quando ci penso, ad un interrogatorio di polizia”. A dispetto di ciò, e al prezzo oneroso di un’aspra conflittualità interna, concretizzatasi nelle dolorose espulsioni comminate a Antonin Artaud, Philippe Soupault, Pierre Naville e Roger Vitrac, la rivista proseguì sulla sua rotta intransigente e incrollabile, ospitando, nei dodici numeri usciti dal dicembre del 1924 al dicembre del 1929, sempre nuovi contributi e riflessioni, mescolando analisi teorica e prassi poetica, dalle trascrizioni di sogni frutto del lavoro di documentazione del Bureau des récherches surréalistes di rue de Grenelle alle opere grafiche di André Masson o Giorgio de Chirico, dalla sceneggiatura del capolavoro cinematografico di Luis Buñuel, Un chien andalou, all’inchiesta “Dall’amore al suo oggetto”, apparsa sull’ultimo numero. In una sorta di ciclo fisiologico, dunque, il surrealismo si pose interrogativi profondamente umani, esordendo con l’inchiesta sul suicidio e concludendo con quella sull’amore e il suo oggetto, in coerenza al postulato baudelairiano: “C’est la Mort qui console, hélas! et qui fait vivre”.
Giancarlo Micheli




1 Rivista letteraria fondata nel 1909 da André Gide, a partire dal 1911 pubblicata per le edizioni di Gaston Gallimard.
2 Van Gogh le suicidé de la société (K éditeur, Paris 1947); trad. italiana: Van Gogh il suicidato della società (Adelphi, Milano 1988)
3 Il 13 maggio 1921 quello che era ancora il gruppo dadaista parigino si costituì in tribunale rivoluzionario per giudicare lo scrittore Maurice Barrès, cui fu contestata l’accusa di “aver attentato alla sicurezza dello spirito”, giacché egli, in opere come L'Âme française et la Guerre (Émile-Paul, Paris 1915-1920) aveva levato entusiastiche lodi all’amor di patria e al sacrificio delle vite dei soldati nelle trincee e sui campi di battaglia.
4 Lenin (Blue Ribbon Books, New York 1925)
5 Entretiens, a cura di André Parinaud (Gallimard, Paris 1952); trad. italiana: Entretiens (Erre emme edizioni, Bolsena 1991)

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