venerdì 11 marzo 2011

"La grazia sufficiente" di Giancarlo Micheli (Campanotto, 2010)

recensione pubblicata sulla rivista
La Mosca di Milano - intrecci di poesia, arte e filosofia (n.23, dicembre 2010)


La grazia sufficiente di Giancarlo Micheli (Campanotto editore, 2010)

 Se è vero che l’arte, come scrisse Vasilij Kandinskij in Dove va l’arte nuova (1911), è sempre figlia del suo tempo e madre dei nostri sentimenti, l’ultimo romanzo di Giancarlo Micheli, La grazia sufficiente, è vivo sembiante della sua e nostra sensibilità. L’associazione arte-opera letteraria si è presentata in tutta la sua immediatezza e spontaneità durante la lettura del testo, stilisticamente caratterizzato da un naturalismo e da un astrattismo lirico non lontani da quello del già citato Vasilij Kandinskij, il cui simbolismo romantico riecheggia in tutto il libro, peraltro non immune da una certa qual vena surrealista.
 La potenza evocativa di un linguaggio colto ed essenziale dà luogo ad ambientazioni e personaggi dai cromatismi puri al limite del sovrasensibile, che affiorano da una dimensione spazio-temporale immaginifica, realizzandosi sul piano visivo come delle vere e proprie sequenze cinematografiche, delle cui tecniche il Micheli mostra di essere profondo conoscitore. Cito, per tutte, i flash back di una delle scene iniziali del prologo, nella quale il capitano olandese Baruch Dekker, uno dei due personaggi principali – l’altro è il giapponese Taisho –, fa naufragio con il suo galeone, il Tweede Liefde, di fronte al Golfo di Nagasaki, luogo in cui è ambientato il romanzo.
 Le vicende narrate si dipanano sul piano della contemporaneità di due serie di eventi, seguendo un processo metastorico in cui l’oida individuale si integra con quella universale, secondo i canoni dell’epos tragico e del mythos. L’usciere di seconda classe Taisho vive infatti in tarda epoca moderna (prima metà dello scorso secolo), mentre l’esistenza del capitano Baruch Dekker si svolge durante la prima metà del XVII sec. Due “Odissee” parallele, che culminano nella catarsi, attraverso le derive della vita, il cui simbolo è proprio il naufragio, che porta Baruch Dekker ad approdare sulle coste del Giappone e conduce Taisho ad una vera e propria rinascita simbolica alla vita dopo che, tornato dal fronte cinese, privato di ogni affetto e alieno da ogni senso di appartenenza, perdutosi così nel mare dell’esistenza, tenterà di annegarsi nelle acque del porto.
 L’intera storia illustra l’affermarsi della sacralità dell’archetipo umano, e cioè la notevole variante del mistero dell’essere, che è superficie di inesauribile profondità. Lungo tutta la vita andrà alla ricerca dell’illuminazione spirituale il capitano Dekker, inconsapevole di tale sua ricerca, alla stessa stregua di Taisho o di qualsiasi altro uomo. Egli la riconobbe una volta nella sua amata Netsuki, nella cui stessa etimologia onomastica si cela una sottile valenza gnoseologica. Essa è la Luce della Sapienza, che amorevolmente guida e sostiene gli esseri umani durante la loro esistenza. E anche Taisho la scorgerà in sogno.
 All’entrata del Delphinion gli antichi greci apposero una lapide che ammoniva chi si recava a rendere omaggio alla divinità, Apollo appunto: Gnothi Seautòn, conosci te stesso, così come anche il maestro Aguri, usciere di prima classe, dice rivolgendosi a Taisho: “Ciò che sai riconosci di saperlo, ciò che non sai riconosci di non saperlo. In ciò consiste tutta la sapienza”.
 Questa La grazia sufficiente, alla cui chiamata si può resistere ma solo se la si è già trovata, Enchiridion di luce.
Roberta Raggioli

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dal capitolo X del romanzo "La grazia sufficiente" (Campanotto, 2010) di Giancarlo Micheli; lettura di Ilaria Pardini

Sovranità e rivoluzione

articolo pubblicato sulla rivista
Arcipelago (n.54, marzo-aprile 2011)


Sovranità e rivoluzione


 Dal 1943 al 1947 – negli anni, tempestosi e tragici, durante i quali la nazione si scrollò di dosso l’ombra e gli artigli del regime fascista, il cui spettro non lesinò in seguito di incupire le già di per sé oscure, inibite al sogno non meno che alla fantasia, vicende dell’oramai adulta Repubblica italiana – i governi* che precariamente si succedettero nel calloso compito di dare forma e sostanza istituzionali allo Stato mentre gli eserciti degli schieramenti sovietico e anglo-americano venivano a contatto inghiottendo il mostro nazista, tali governi dovettero trattare la cessione di non esigue e rilevanti porzioni del sacro suolo della patria. Del Regno d’Italia, che, con buona pace di tutti i cittadini cui, del resto, ancora oggi auguriamo sia infine garantita reale e libera sovranità, riposa – e auspichiamo per sempre – sotto la lapide marmorea della storia, si celebra il prossimo 17 marzo il centocinquantenario dalla proclamazione.


Unità e molteplicità della nazione

 A quel primo e del resto limitato conseguimento unitario, giacché la liberazione delle Venezie dal dominio asburgico e quella di Roma dal potere temporale pontificio avverranno con qualche anno di significativo ritardo, si giunse sul finire dell’inverno del 1861, presso la sala dell’assemblea del primo parlamento nazionale, convocata a Torino e preceduta dalla serie di plebisciti con cui i vari resti lungo la penisola di un potere aristocratico più oscurantista che illuminato erano andati ad annettersi alla monarchia sabauda. Le laceranti questioni dell’unificazione linguistica, economica, sociale, rimandavano la propria soluzione ad un futuro che, in parte consistente, ha ancora oggi da compiersi. Nell’Italia risorgimentale le fazioni politiche progressiste, quali la mazziniana, frutto ed espressione di settori di una borghesia nazionale in pubertà, escludevano recisamente di affrontare i problemi sociali quali necessari presupposti all’ottenimento dell’unificazione politica; le componenti liberali, maggioritarie all’interno della borghesia, propendevano d’altro canto all’alleanza di interessi con la nobiltà agraria. Da una parte l’abile gioco diplomatico di Cavour, che valse l’appoggio alla causa italiana prestato da Napoleone III, e dall’altra l’impresa di Garibaldi concretizzarono le ambizioni e le scelte delle due tendenze antagoniste e guadagnarono al regale cranio di Vittorio Emanuele di Savoia la corona di Re d’Italia. Agli albori della propria storia, dunque, la classe politica che avrebbe poi retto le sorti della nazione attraverso ben note e tristi vicissitudini si fregiò di catastrofiche tardività e avventatezze. Delle contraddizioni sociali, che pure erano deflagrate nelle rivoluzioni europee del 1848 e che si riaccesero impetuose con la Comune di Parigi del 1871, nei cui torbidi fu travolto, secondo uno dei non infrequenti sarcasmi della nemesi storica, proprio quel Luigi Napoleone che era stato il magnanimo e cauto tutore dell’indipendenza italiana, della loro portata epocale la consapevolezza si impresse solo in forme tenui e sbiadite negli intelletti illustri dei padri della patria e della sorgente classe politica nazionale. Non mancarono certo eccezioni, le quali tuttavia furono emarginate in ragione della prudenza dei tempi e delle indoli, in conformità a una consuetudine che nel prosieguo della storia politica italiana permise, tra numerose e non poco determinanti transigenze, che, una volta instaurata la dittatura fascista, la cultura di opposizione a lungo non avesse armi per controbatterla al di là di un esule oltranzismo e di un remissivo Aventino**. Tale classe politica neppure durante la pur propizia stagione della Resistenza poté emendare del tutto le origini elitiste e congiuratorie che tanto pernicioso effetto ebbero nel favorire l’attecchimento della mendace ideologia fascista presso larghi e trasversali strati della popolazione. Fino ai nostri giorni lo sporco gioco della politica di potenza degli Stati imperialisti ha, quindi, continuato a trovare i propri adulti e professionali agenti tra gli eredi di Cavour e di Mazzini, non meno che tra i fedeli osservanti del cristianesimo democratico o tra gli integerrimi seguaci del socialismo di Stato.


Per un’economia generale e umanista

 In una serie di saggi***, che elaborò dalla metà degli anni ’30 alla metà dei ’50, il filosofo Georges Bataille propose di riformare i fondamenti dell’economia classica, legati all’impiego utilitario delle risorse produttive, alla luce di quella che definì notion de dépense, il concetto di dispendio improduttivo. Lungo un erudito e sapiente excursus antropologico, pensato quale ripresa a rovescio della fenomenologia dello spirito hegeliana, egli individuò le origini della sovranità nei doni suntuari (potlàc) che i monarchi delle primitive organizzazioni statali offrivano ai sudditi, nell’occasione di feste di ordine religioso e celebrativo, quali manifestazioni di regale magnificenza, ad immagine dell’irradiazione solare che offre alimento sovrabbondante alla crescita della vita sul pianeta. Nel soggetto regale, portatore della sovranità, il suddito proiettava, alienata, la propria. Se la civiltà borghese, rispecchiata nell’ideologia dell’illuminismo e nelle teorie dell’economia classica, iniziò una parziale emancipazione dalla sovranità arcaica, il marxismo e i movimenti di liberazione proletaria, a partire dalla metà del diciannovesimo secolo, operarono un passo decisivo nel ridurre la soggettività umana all’opera utile e alla produzione dei mezzi di produzione; il dispendio riaffiora comunque, fino al presente, nei fasti del consumo e del prestigio individuale, sebbene ogni giorno più mortificanti, nella guerra, nonché nella rivoluzione, alla quale non potranno mancare, oggi meno che in passato, quegli elementi di festa e di sovrabbondanza che riposano alle sue origini.


Desideri e realizzazioni

 La più desiderabile celebrazione del centocinquantenario del Regno d’Italia verrebbe a chi vive oggi nella Repubblica che da esso si emancipò, con tanto lutto e cordoglio, circa sessanta anni fa, verrebbe nel completare tale opera di emancipazione, la quale non potrà essere che soggettiva e collettiva, portatrice di una parte di gioia e di sovrabbondanza che sia determinante e umana.
Giancarlo Micheli

*    Pietro Badoglio (25 Luglio 1943-8 Giugno 1944); Ivanoe Bonomi (18 Giugno 1944-19 Giugno 1945); Ferruccio Parri (21 Giugno 1945-8 Dicembre 1945); Alcide de Gasperi (10 Dicembre 1945-17 Agosto 1953).
**  Fu dato questo nome alla secessione parlamentare (27 Giugno 1922) dei deputati di opposizione al governo Mussolini, deliberata come atto di protesta contro l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti ad opera delle milizie fasciste. Il nome scelto faceva riferimento alla lex Icilia de Aventino publicando (456 a.C.), la quale sancì che l’area del colle Aventino fosse distribuita alla plebe romana per la costruzione di case e sottratta alle mire dei patrizi, in merito alle quali ignoriamo se potessero essere, già in quel remoto passato, speculative.
*** La Part maudite : Essai d'economie generale,  Editions de Minuit 1949 (tr. it. La parte maledetta, Bollati Boringhieri 1992); L’Histoire de l’érotisme, Gallimard 1976 (tr. it. Storia dell’erotismo, Fazi 2006); La Souveraineté, Gallimard 1976 (tr. it. La sovranità, il Mulino 1990).