martedì 24 giugno 2014

La quarta glaciazione (Campanotto, Udine 2012; pp.163, euro 15) di Giancarlo Micheli

recensione di Gabriella Valera Gruber
pubblicata in Zeta rivista internazionale di poesia e ricerche (n. 107, Anno XXXVI n. 2, 2014)

 Giancarlo Micheli ci è già noto per i suoi romanzi a sfondo storico e dotati di un’ampia capacità di investire le vicende narrate di riflessione filosofica. Ricordo, a titolo di introduzione, il suo ultimo in ordine di tempo, La grazia sufficiente, dove l’autore ha operato una trasfigurazione nella cultura orientale, presso la quale è posta l’ambientazione, del principio occidentale della ragione sufficiente. Al pari di quanto accade nella scrittura in prosa dell’autore, anche di fronte alla raccolta di versi La quarta glaciazione ci troviamo in presenza di una scrittura spessa, nervosa, forte, piena di cose. Uno degli aspetti che più colpisce, e dal quale merita forse prendere lo spunto d’avvio, è sintetizzato nella poesia Latitudine, dove si incontra un verso che può essere scelto quale dichiarazione di poetica, laddove l’autore si ripropone di risalire “dall’affetto alla causa” [corsivo mio].
 È questo il modo peculiare in Micheli di lavorare con il linguaggio, di piegarlo alle esigenze espressive, ricorrendo al quale egli ama ricondurre anche forme consuete a significati nuovi.
 E’ evidente nel verso citato la sostituzione della formula nota del pensiero razionale che risale dall’effetto alla causa con la proposizione di una nuova più complessa “ragione” dell’essere.
 Il procedimento razionale che sta alla base della composizione, nell’opera narrativa di Micheli così come in quella in versi, tiene quindi conto dell’affezione, delle specifiche circostanze in cui il soggetto viene colpito (affectus) non nella sua mera emotività, ma dentro il proprio complessivo modo di essere.
 Questo aspetto mi sembra particolarmente interessante, perché mette in gioco il linguaggio, il luogo e il ruolo del poeta all’interno di una certa realtà. Il mondo poetico viene a costituirsi di elementi concreti, non di simboli né di metafore, bensì dei possibili luoghi, appunto, dove si incrociano tutti i codici parziali: non quello poetico soltanto ma quello tecnico, quotidiano, finanche nelle locuzioni più banali, che rappresentano il brusio di fondo dal quale il poeta, nonostante tutto, non ha pieno arbitrio di sottrarsi.
 Il mondo che viene pur tuttavia comunemente percepito come reale, a dispetto delle condizioni che gli sono assolutamente intrinseche e nelle quali si rivela assoluta barbarie, assurdità comunque accettata e condivisa in quanto rappresentata come necessaria, il mondo della finanza, dell’industria multinazionale, dello sfruttamento si incontra quindi con ciò che gli è estraneo, il mondo delle affezioni, la ricerca di libertà e di ‘tenerezze salde’.
 Invischiato necessariamente e con consapevolezza nella realtà vieta e talora vile il poeta che ne rimane affetto è alla ricerca, e fors’anche gode, dell’occasione di trascenderla. Il lirismo si apre allora a uno spazio ulteriore, fatto di paesaggi immensi ed ariosi, con cieli, dirupi, curvature di orizzonti, vele spiegate e vento, fino ad arrivare ai versi migliori di Micheli, che possono richiamare alla mente certi dipinti ottocenteschi dove il soggetto umano appare in solitudine al cospetto della natura sublime in cui è immerso.
Se tale paesaggio non è un cosmo armonioso, esso non è neppure pervaso da angoscia, sottrazione e sofferenza, si identifica piuttosto con una presenza sostanziale.
 L’architettura de La quarta glaciazione consta di testi di varie proporzioni, dai piccoli haiku fino ai poemetti, distinti, secondo una precisa struttura, in cinque sezioni, ciascuna delle quali ha un titolo inerente a quello generale della raccolta; la stessa versificazione è assai differenziata, alternando metri complessi ad altri semplici, sempre nondimeno riuscendo a dare compiutezza ad ogni singolo verso, cosicché l’assenza di una sintassi che li colleghi in maniera univoca moltiplica le possibilità di lettura e gli effetti di polisemia. “Nel lento battere dell’onda sulla riva/ Il riconosciuto/ La geometria del raggio/ Fino al verde cerchio dell’essere/ Fino ad un’angolare luna/ Sfumata sopra l’azzurro bordo di orizzonte/ Nel viola del visibile/ Una conseguita trasparenza/ Oltre la combinatoria del senso/ Fugata oltre la scelta/ La perfezione nell’altro/ In ragione della presenza/ Dell’eccezione al punto di vista/ E al punto di dissolvenza” scrive Micheli nella poesia Nel respiro del mare – inspirazione, dove risulta appunto all’evidenza un sistema di geometrie ed angolature che restituiscono il senso di uno spazio il quale, ancorché mentale e ricostruito, si forma sempre in specifiche e concrete modalità dell’affezione. La poesia immediatamente successiva, Nel respiro del mare – espirazione, si conclude toccando uno dei motivi ricorrenti in tutto il libro: “Nel respiro del mare disteso/ Risalirà lungo i miei fianchi il vento/ Lungo altre creste di monti che non vedi/ Giacché in serbo li tiene la terra/ A ricoprirli di una segreta primavera/ Dove sbocciano i pensieri degli amanti/ E quando qualcuno ti chieda parte e azioni/ Perché  s’imbraccino giorni d’inossidabili intenzioni/ Potrai se lo vorrai giacermi accanto/ Il capo ad oriente e i rami/ Dal tuo tronco d’araucaria verso il sole/ Placati e ricercanti nella luce/ Così crescerà l’albero nel puro mutamento”.
 La metamorfosi nell’universo poetico dell’autore non compare mai disgiunta dalla stabilità, perché, come viene detto nella poesia Notturno, “Risalendo alle sorgenti fino al ripartirsi delle acque/ Nel corpo e nella mente/ Dove il sentimento è sufficiente/ Alla necessità della ragione/ E non offende il limite/ Tra l’uomo e la parola”  [corsivo mio] possiamo affacciarci là dove la realtà celebra le nozze con il sogno, nel luogo dal quale è dato proseguire a vivere e a rendere il cielo grande.
 Sebbene vi emerga assai spesso il tema della critica sociale, del dolore e della violenza, c’è un’aurea vena di luce che percorre il libro, ci sono l’amore e la purezza degli sguardi, sempre presentati per via di coraggiose inversioni rispetto ai luoghi comuni della letteratura e volti costantemente all’apertura all’Altro, non chiusi in “una stanza per il sé”.
 Anche nel titolo di questa ricca silloge, mi piace cogliere un  segno positivo nel riferimento alla glaciazione con cui ebbe avvio il periodo geologico del Quaternario, durante il quale la specie umana è venuta all’esistenza, un auspicio affinché, superato il gelo che intacca le anime non meno che i corpi, possa infine iniziare davvero l’epoca della nostra umanità.
Gabriella Valera Gruber


Nessun commento:

Posta un commento