martedì 22 novembre 2016

II fine dell’esistenza o la cognizione di un mondo infine abitabile

recensione di Fabio Flego
a II fine del mondo (Ladolfi, Borgomanero , 2016, pp. 126, € 12) di Giancarlo Micheli
pubblicata in Erba d’Arno (n.144/145, primavera/estate 2016)

Giancarlo Micheli, classe 1967, si dedica alla scrittura, in versi e in prosa, da oltre vent’anni ed ha al suo attivo numerose pubblicazioni comparse in volume, in riviste letterarie e in antologie.
Delle sue raccolte di poesia si segnalano Canto senza preghiera (Baroni, Viareggio 2004), Nell’ombra della terra (Gabrieli, Roma 2008) e La quarta glaciazione (Campanotto, Udine 2012).
In ambito narrativo, II fine del mondo è il suo quarto successo editoriale. Dopo l’esordio con Elegia provinciale (Baroni, 2007), un romanzo giallo, storico e biografico al tempo stesso, una love story, un’analisi di coscienza e delle coscienze che sul Lago di Massaciuccoli, «specchio di antichi e selvaggi enigmi», vedono protagonisti il maestro Puccini e le sue donne, passando attraverso la storia, in Indie occidentali (Campanotto, 2008), dell’emigrazione di una coppia di giovani sposi toscani «guidati dal desiderio di affermare valori condivisi e di progredire umanamente», fino al viaggio narrativo di La grazia sufficiente (Campanotto, 2010) «per risalire al tempo dei primi contatti tra le culture occidentale e orientale, alla ricerca di una vita umana e sensibile, equanime e felice», Micheli torna ora a stupirci con il messaggio subliminale di questi trenta capitoli coinvolgenti e scioccanti, impreziositi da un prologo, un epilogo e un’appendice illuminanti, che, con l’incalzante urgenza di trenta sequenze sceniche non sempre consequenziali, si rincorrono per dare una visione utopica della realtà ed invitare a una riflessione sul fine dell’esistenza o sulla cognizione di un mondo infine abitabile.
Il fine, appunto, sostantivo maschile, come scopo o termine cui è diretta un’azione [lat. finis, per calco dal gr. τέλος nel significato di «fine, scopo»], ma anche il/la fine, sostantivo maschile e femminile ma più comunemente usato al femminile, come l’ultima parte, l’ultimo tempo d’una cosa, il punto o il momento in cui questa cessa [lat. finis «limite, cessazione»], secondo la definizione del lemma riportata sul Vocabolario della lingua italiana Treccani.
Micheli, deliberatamente, opta per il maschile e in uno scenario apocalittico dipana un’onirica analisi dell’inconscio collettivo che guida le dinamiche del potere ed innesca soluzioni di non ritorno verso un’ipotetica terza guerra mondiale nucleare tra gli Stati Uniti d’America di un presidente permissivo e impotente seppur «presuntuoso narcisista», Wu, «prigioniero» dei vertici militari che lo escludono dal banco di regia e ne revocano ogni legittima autorità per appagare «il loro sogno [...] di regnare [...] sopra un mondo di rovine», e la Repubblica popolare cinese del presidente Wei.
Sullo sfondo, ad alimentare i venti di un’aperta dichiarazione di guerra, anche «le politiche [cinesi] di manipolazione della valuta», che danneggiano l’economia nazionale statunitense, e «la piaga nefanda degli aborti clandestini e degli infanticidi», legata alla legge limitativa delle nascite e ad «un’alleanza di interessi per il controllo economico e biologico della classe lavoratrice cinese», che offende la coscienza di qualsiasi uomo e non consente ai giovani in Cina di disporre liberamente della propria sessualità e della propria vita.
Eppure i prodromi della catastrofe e delle sue conseguenze si erano già manifestati in Natura con le inclementi calamità di un’alluvione e di un fortunale d’inaudita violenza, con la frana a valle dell’intero costone di una montagna, col flagello di una carestia... come se, appunto, la Natura, con la sua forza devastante, volesse mettere l’Uomo di fronte alle sue responsabilità di un attacco atomico definitivo, i cui esiti ben documentava un’esposizione di cadaveri dilaniati al Museum of Modern Art of New York, «un autentico pugno nello stomaco, un’autentica strizzata alle viscere immonde del militarismo».
È un sogno, alla fine, quello che i quattro superstiti protagonisti saranno chiamati a rivelare e decifrare al presidente Wu, responsabile dell’esplosione di una devastante testata all’idrogeno che aveva «procurato tanto male a bambini innocenti, donne e uomini che coltivavano il sogno di una vita felice». Addirittura i vivi rimpiansero la morte e «le madri videro le carni dei figli aprirsi come fiori di morte»!
Da un lato, il concreto mondo occidentale di Mark e Sophie, due vite perse in momenti «di umana felicità e mutua empatia» e congiunte nell’atto d’amore fisico e spirituale che compone i loro pensieri in un’univoca armonia di percezioni e, in sintonia, genera all’unisono la domanda «Chi sono io?» e, nella «contemplazione degli eventi futuri», la concisa ed efficace sentenza: «io sono colui che sarà». Un messaggio in codice, se vogliamo, che Mark fonda sulla conoscenza del cuore e dell’anima di ogni essere umano per rigenerare una nuova vita sulla terra, per spargere «il seme da cui germoglieranno vite future».
Dall’altro, il mistico mondo orientale di Huang e Kuei Fei, disegnato attraverso le sensazioni d’amore «delle loro anime lungo il sogno, ciclico e infinito, delle morti e delle nascite», e l’osservazione di sé dall’esterno nell’«attraversare la grande acqua, e giungere infine presso ciò che sarà».
Quattro personaggi sottratti alla morte per il nobile fine della rivelazione, ma dannati «all’esperienza del fallimento delle più profonde aspirazioni».
Un romanzo, dunque, che è un distillato di densa prosa poetica dal carattere forte e deciso, ma dal tono malinconico e sentimentale, talora angoscioso, nelle altalenanti dicotomie tra guerra e pace, luce e ombra, amore e odio, felicità e dolore alla base di una trama profonda, discussa con valido spirito critico. L’ampiezza concettuale del narrato si materializza in un linguaggio cólto ed essenziale, com’é nelle corde di Micheli, giocato sulla ricerca ossessiva del lemma, che così impreziosisce le sapienti descrizioni della natura e degli stati d’animo.
Forse, ad una prima lettura superficiale, il lettore potrebbe rischiare di smarrirsi nel caotico flusso di coscienza della narrazione e perdere le coordinate di azione, spazio e tempo del romanzo, ma Micheli conosce bene le asperità e le difficoltà della propria scrittura e quindi lo invita, sternianamente, a collaborare con l’onnisciente io narrante alla conduzione dell’opera («il lettore serberà una pur vaga impressione», «se il lettore avrà in precedenza», «il lettore vorrà accettare di buon grado»), finché non sia giunto, dopo la formulazione di alcune ipotesi necessarie ed immanenti alla realtà in cui lo ha accompagnato, il momento diegetico di suggerirgli l’explicit di cui l’umanità è il vivente argomento: «Allora, forse, desidereresti vivere di nuovo l’alba dell’umanità; sapresti se, oggi, vorrai soltanto sopravvivere alla malattia che, fuori e dentro, ti contagia, oppure guarire».
Fabio Flego

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